«Vogliamo tutto», dice Marine Le Pen, assediata dai cronisti. La commissione Finanze? Un posto di vicepresidenza? «Tutto, chiediamo tutto». Ora che è passata da 8 deputati a 89, l’estrema destra vuole entrare all’assemblea nazionale dalla porta principale: «Siamo noi l’opposizione». Se invece di calcolare i 142 seggi incassati dalla sinistra unita si pesa ogni componente, allora pure la più forte, e cioè la France Insoumise, ha meno eletti dell’estrema destra, 72. Dunque per la Nouvelle union populaire écologique et sociale, nonostante il bottino di voti – al primo turno delle legislative è risultata la prima forza – oggi ci sono almeno tre sfide. La prima è non farsi scippare dall’estrema destra la leadership dell’opposizione. La seconda è dimostrarsi capaci di tenuta e compattezza oltre il voto. La terza è far fronte a un presidente, Emmanuel Macron, che è a caccia della maggioranza assoluta; e mentre per ottenerla guarda a destra, la friabilità del fronte a sinistra non può che tornargli utile. Ecco allora che Jean-Luc Mélenchon, leader dell’unione di sinistra ecologista, rilancia: propone agli alleati verdi, socialisti e comunisti che compongono Nupes un gruppo parlamentare unico. «Non è una fusione», precisa per tranquillizzare gli alleati; significa una unione a prova di sabotaggio. Che per ora non decolla.

La tenuta dell’unione

«Sarò la voce dei senza voce». Dopo la lotta con il proprio datore di lavoro, all’hotel Ibis di Parigi, la cameriera Rachel Keke, nata in Costa d’Avorio e in Francia da ormai un quarto di secolo, si è proiettata verso l’assemblea nazionale. È una dei 142 eletti della Nupes, «uomini e donne specchio del nostro paese, di contesti popolari stremati da un trentennio di politiche neoliberiste», per usare le parole di Mélenchon.

(Rachel Keke. Foto AP)

Ma ora che la sinistra, unita, si è dimostrata capace di affermarsi, riuscirà a mantenersi compatta? Per la France Insoumise, cardine dell’alleanza, i patti stretti a maggio con gli altri partiti «non sono di circostanza elettorale ma un vero e proprio accordo politico», come ha detto a Domani l’eurodeputata Manon Aubry.

Ma a destra c’è chi spera che il puzzle deflagri, e si appiglia ad esempio alle dichiarazioni del comunista Fabien Roussel; presentandosi da solo alle presidenziali, ad aprile ha strappato a Mélenchon oltre due punti, che sarebbero serviti a proiettarlo al ballottaggio, e oggi dà segni di insofferenza verso un’unione a lungo termine. Quando è apparso chiaro che Le Pen, assecondata da alcuni macroniani, intende presentarsi come la prima forza di opposizione, il che comporta anche precisi incarichi, il leader di Nupes, Jean-Luc Mélenchon, ha azzardato una mossa di rilancio. Il piano iniziale prevede che ogni forza abbia il suo gruppo: Insoumise con i suoi 72 eletti, socialisti 26, verdi 23, comunisti 12 ma con chance di arrivare ai 15 necessari per formare un gruppo; un “inter-gruppo” dovrebbe fare da cornice. Questo lunedì però Mélenchon ha proposto un gruppo unico, «il che non significa la dissoluzione dei partiti, anzi ognuno potrebbe mantenere una propria delegazione». Gruppo unico? «Non se ne parla proprio», è la prima reazione, fulminante, di socialisti, verdi e comunisti.

La spavalderia di Le Pen

Nel quadripartito mantenere le proprie specificità, o viceversa non farsi cannibalizzare dagli “insoumis”, resta per ora la priorità. Ma questo comporta rischi, anche perché dal lato opposto dell’asse politico Le Pen è più spavalda che mai. Nelle caselle di posta degli iscritti al Rassemblement national piomba la sua foto sorridente assieme al delfino Jordan Bardella: «È con profonda emozione che lo annuncio, il Rassemblement National avrà un gruppo parlamentare di un’ampiezza unica!». Dagli otto deputati del 2017, a 89 oggi; conquistati, dice l’analisi dei flussi elettorali, anche grazie all’astensione dei macroniani in caso di duello tra Le Pen e la sinistra unita. Nella Francia di Macron, che ha disegnato la sua carriera presidenziale nel 2017 sotto la cornice di sradicatore della destra estrema, questa destra estrema non fa che mettersi sempre più comoda. Banalizzata, ma non meno pericolosa: la denuncia del giornalista Pierre Plottu, preso di mira da uno youtuber neofascista, mostra il clima di impunità, «l’estrema destra a ruota libera non appena il Rassemblement ha la sua riuscita».Quanto Macron abbia contribuito, in questo specifico voto, alla crescita dell’estrema destra, appare ad esempio dai dati Ipsos. Con il partito del presidente pronto a mettere sullo stesso piano di «estremisti» Mélenchon e Le Pen, nei duelli tra Nupes e Rassemblement sette elettori di Ensemble su dieci si sono astenuti. Solo il 16 per cento ha votato Nupes, e il 12 il Rassemblement. Anche nella destra moderata dei repubblicani, in quei casi si sono astenuti sei elettori su dieci, e ben il 30 per cento ha votato Le Pen.

Le manovre presidenziali

Ora che Macron si trova asserragliato, con la sinistra da un lato, e Le Pen dall’altro, una virata a sinistra è implausibile; e non resta che la destra. Quella moderata dei Républicains, coi suoi 64 seggi, sarebbe la soluzione più naturale; ma comporterà altre contrattazioni, perché il partito intende capitalizzare il suo ruolo di ago della bilancia. «Altro che patti o coalizioni, resteremo all’opposizione», ha insistito anche il giorno dopo il voto il presidente del partito, Christian Jacob, in conclusione di un comitato strategico che si è concluso «a stra-maggioranza». Mentre i due campi, opposti e inconciliabili, della destra estrema e della sinistra radicale, si contendono lo spazio politico di opposizione, la maggioranza presidenziale – solo relativa – dà prova di fibrillazione: sciogliere le camere nel giro di un anno? Insistere nell’opera di seduzione dei repubblicani? Fino a che punto vale «la creatività» politica invocata dal ministro dell’Economia Bruno Le Maire? C’è chi, come il suo collega ministro Marc Fesneau, è pronto a concedere «al primo gruppo di opposizione», e quindi all’estrema destra, la guida della commissione finanza.

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