Doveva essere l’11 novembre il grande giorno dell’ufficializzazione della candidatura all’Eliseo di Éric Zemmour, ma ora si parla di inizio dicembre. Forse. «La Francia non ha ancora detto l’ultima parola», titola l’ultimo libro del polemista più destrorso di Francia. Quel che però Zemmour non ha ancora chiarito è perché l’ultima parola sull’Eliseo non l’ha detta neanche lui. Intanto l’onda dei sondaggi favorevoli, dopo essersi gonfiata fino a sormontare Marine Le Pen, comincia lentamente a sgonfiarsi. Suvvia, dopotutto «i due sono competitor dentro lo stesso campo: per essere efficaci bisognerà arrivare a una candidatura unica», si spinge a dire ora Marion Maréchal, madrina di Zemmour. E se l’hype fosse servito proprio a conquistare spazio (e peso) a destra per poi convergere su un accordo con Le Pen? Per ora la certezza è una: il giorno dell’annuncio slitta.

Fase 1: una rete

Un ruolo in queste presidenziali, o quantomeno un gioco dei ruoli, Zemmour comincia a prenderselo già nella primavera del 2019, quando assieme a Marion Maréchal discute del futuro della destra francese, nella cornice di una casa di Saint-Germain-des-Prés. L’appartamento è di Sarah Knafo, giovane sì – è del 1993 – ma anche già parte dell’establishment: enarca, con contatti nella destra francese moderata e non; ora consigliera di Zemmour e pure amante: l’ha mostrato quest’autunno Paris Match contribuendo alla bolla mediatica. Qualche mese dopo quella cena, il 28 settembre del 2019, Zemmour apre la “Convenzione della destra” voluta proprio dalla nipote di Le Pen per «riunificare la destra». Da quella convenzione provengono i personaggi chiave dello staff attuale di Zemmour: ad esempio, l’organizzatore della Convention, Erik Tegnér, anche lui classe 1993, fondatore del canale Livre noir e figura della destra identitaria che guarda a Viktor Orbán; infatti da Budapest Tegnér tesse i rapporti per Zemmour, che quest’autunno ha incontrato il premier ungherese prima di Marine.

Dalla convenzione del 2019 agli incontri sul territorio di questo novembre, il cerchio magico di Marion – compreso Thibaut Monnier, il cofondatore del suo istituto privato di Lione, l’Issep – ruota pure attorno a Zemmour. Sul carro del forse-candidato sono saliti anche Bruno Mégret e i suoi. Mégret è un ex frontista che ha rotto già ai tempi di Jean-Marie, è figlio di alti funzionari e a sua volta è legato a una rete di alti funzionari; ora diventano gangli dell’operazione Zemmour. A costruirgli consenso tra i giovanissimi, e sui social, pensa Stanislas Rigault, che guida la Generazione Z, i cui contenuti social ricordano la Bestia salviniana tanto che Twitter anticipa: «Attenzione, questo profilo potrebbe includere contenuti potenzialmente sensibili».

Fase 2: l’hype

Niente che possa stupire, visto che Zemmour stesso proprio oggi affronta un processo per le sue affermazioni sui minori non accompagnati; ed è l’ennesimo: con le sue sparate, da giornalista e scrittore ha già incassato numerosi procedimenti giudiziari per istigazione alla discriminazione razziale, all’odio, e all’odio religioso, verso i musulmani. Ciò non ne impedisce l’ascesa mediatica, anzi è la chiave del fenomeno; soprattutto perché è accompagnata dal supporto del magnate dei media Vincent Bolloré.

Perché per tutti i francesi Zemmour è ormai «candidato senza esserlo»? Perché si è esposto fino a dover lasciare le Figaro. Perché il tour di promozione del suo ultimo libro somigliava così tanto a un tour elettorale da costringerlo a impegnarsi a rendicontare le spese promo in quelle di una eventuale campagna. Perché già mesi fa ha cominciato a riempire l’agenda della settimana con un paio di cene con l’establishment economico di Francia. Dal 30 giugno è istituita l’associazione Les amis d’Eric Zemmour per il finanziamento della sua campagna: esiste già il contenitore per le donazioni. A fine ottobre è stata annunciata anche la nascita di un partito, Vox Populi.

Fase 3: l’attesa

A inizio settembre, un braccio destro di Zemmour si era detto convinto che solo due condizioni fossero d’intralcio all’annuncio di candidatura: sfruttare il più possibile lo spazio mediatico senza vincoli da campagna, e avere sufficiente sostegno in termini di parrainages. Per poter candidarsi all’Eliseo servono le firme di 500 eletti, siano essi deputati, consiglieri, amministratori locali. Non a caso ieri Zemmour era all’Amf, l’associazione dei sindaci francesi. Entrata in piena era Bolloré, l’emittente Europe 1 era pronta a scommettere che l’annuncio sarebbe arrivato l’11 novembre: «Siamo noi che vi diamo tutte le indiscrezioni». Ora la stessa redazione fa slittare il pronostico al 5 dicembre. O prima. Nell’attesa i sondaggi fibrillano: a inizio ottobre il sorpasso su Le Pen, ora il rinculo. Dopo aver contribuito all’ascesa di Monsieur Z., ora Marion Maréchal fa intendere che un accordo va trovato: si candidi chi tra i due, fra Zemmour e Le Pen, è piazzato meglio nei sondaggi, ha detto lei domenica in tv. Spetta ora a Zemmour dire son dernier mot.

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