Pressing dei ministri degli Esteri europei su Teheran. Che lancia segnali in direzione Usa: «Disposti ad accettare limiti sull’uranio». Ma i nodi non mancano: gli iraniani puntano a un cessate il fuoco, Washington pone come condizione l’azzeramento del nucleare
D’accordo con gli Stati Uniti, questo venerdì a Ginevra i ministri degli Esteri di Francia, Germania, Regno Unito, assieme all’alta rappresentante Ue, hanno chiesto all’Iran di tornare a un tavolo diplomatico che era stato proprio Donald Trump a rompere, uscendo dall’accordo sul nucleare iraniano del 2015, e che Benjamin Netanyahu ha di nuovo fatto saltare con l’attacco della scorsa settimana.
La via diplomatica resta possibile, secondo le parole di chi era nella stanza dei colloqui in Svizzera, per oltre un’ora e mezza: «Il ministro degli Esteri iraniano – ha confermato il suo omologo francese Jean-Noël Barrot – ha dato disponibilità a proseguire sulla strada negoziale».
Assieme agli altri – l’alta rappresentante Ue Kaja Kallas, i ministri degli Esteri David Lammy (Regno Unito) e Johann Wadephul (Germania) – Barrot ha poi ricordato che Teheran dovrebbe tornare a negoziare con gli Usa stessi. Torniamo quindi al punto di partenza, come in un gioco dell’oca: fino a pochi giorni fa quei negoziati c’erano. Ma qualcosa cambia: la posta, più alta.
Finestra stretta
Quella aperta a Ginevra è davvero una finestra di opportunità per un’uscita diplomatica?
Dipende dalla reale volontà politica. L’Iran dice che «per fermare la guerra a Trump basta una telefonata, in cui dice a Netanyahu di smettere di attaccare». Israele dice che «si aspetta dagli europei che chiedano a Teheran una retromarcia totale sul nucleare».
È la stessa distanza registrata, già alla vigilia dell’incontro svizzero, da Barrot: per gli iraniani il cessate il fuoco è il punto; per gli europei, coordinatisi con gli Usa, è azzerare il nucleare iraniano. Teheran è disposta a trattare, ma non a digerire la richiesta massimalista.
L’iniziativa militare israeliana e la minaccia di intervento Usa hanno alzato la posta sul tavolo: somiglia alla richiesta di «resa» avanzata di recente da Trump. «Non è troppo tardi perché l’Iran faccia la cosa giusta», ha detto questo venerdì l’ambasciatrice Usa all’Onu, mentre il suo omologo israeliano accusava l’Iran di «far teatro».
Abbas Araghchi, il ministro iraniano, alle Nazioni Unite ha detto che «siamo stati attaccati nel pieno di un processo diplomatico» e «non c’è nessuna giustificazione legale o morale per l’aggressione da parte di Israele». Nel pomeriggio, si è seduto al tavolo con gli europei. Dove ha trovato – secondo la versione di Emmanuel Macron – «questa opzione: la ripresa dei lavori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica volti ad azzerare l’arricchimento dell’uranio in Iran, con la possibilità per l’Aiea di perlustrare tutti i siti. L’inquadramento delle attività missilistiche iraniane, del finanziamento dei proxy regionali, la liberazione degli ostaggi, la ripresa degli scambi diplomatici».
Il ruolo europeo
«Il presidente Usa decide sulla base del suo istinto»: è la versione di Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca, ed è la percezione di chi naviga le dichiarazioni tanto eclatanti quanto contraddittorie lanciate da Trump di ora in ora.
Tuttavia l’«istinto» di Trump è meno estemporaneo di quanto appaia: prima ancora che il presidente giovedì alludesse a una pausa di riflessione entro due settimane, da giorni le capitali europee, dopo il coordinamento con lui, si erano riorientate sul lancio di una «iniziativa diplomatica». Tra i primi ad annunciarla, mercoledì, l’Eliseo, che con la Casa Bianca dice di avere contatti costanti. Pure Friedrich Merz – in contatto con Netanyahu – ha invocato giovedì «moderazione»; solo pochi giorni prima aveva lodato «il lavoro sporco di Israele».
Insomma se davvero Trump decidesse «per istinto», si dovrebbe constatare che mezza Europa si fa portare a spasso dall’«istinto» di un presidente con derive autocratiche.
Parigi, Berlino, Londra – il «coordinamento stretto» con Washington e Tel Aviv di cui parlava Merz già all’esordio dell’attacco israeliano contro l’Iran – si fanno promotrici di un varco negoziale nel momento in cui la Casa Bianca lo chiede, che sia per strappare risultati, prendere tempo o giustificare mosse future. Prima di andare a Ginevra, il ministro Lammy – quello stesso Regno Unito la cui isola Diego Garcia fa da base per i bombardieri Usa da usare contro l’Iran – era a Washington ad accordarsi con Marco Rubio (segretario di stato Usa) e Steve Witkoff (inviato in Medio Oriente). Con Rubio si interfaccia anche Kallas.
Gli europei che la Casa Bianca non ha voluto al tavolo con sé quando con la Russia bisognava discutere le sorti dell’Ucraina, dossier di diretta rilevanza per l’Ue, fanno ora da schermo a Washington e per gli Usa si mostrano a tentare la trattativa con l’Iran.
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