Questo martedì l’uomo ombra di von der Leyen e il commissario Ue al Commercio sono a Washington. Provano a trovare un accordo e a schivare la guerra commerciale, mentre i trumpiani provocano
Una missione conciliatoria dell’Unione europea a Washington e una missione degli Stati Uniti in Groenlandia che – viceversa – a groenlandesi e danesi appare come «interferenza straniera» «aggressiva e offensiva»: la distanza tra l’appeasement europeo e la spregiudicatezza negoziale statunitense appare in tutta la sua evidenza.
Dazi e doti
Tutti gli altri appuntamenti sono stati rinviati per cogliere al volo quello che Bruxelles considera come un varco di opportunità: questo martedì l’uomo ombra di Ursula von der Leyen, Bjoern Seibert, e il commissario al Commercio dell’Unione europea, Maroš Šefčovič, sono a Washington per tentare di venire a patti sui dazi (o altrimenti detta, per trovare una conciliazione con l’amministrazione Trump).
Fino alla settimana scorsa – per ammissione dello stesso Šefčovič – gli Stati Uniti hanno rifiutato di impegnarsi in un negoziato almeno fino al 2 aprile, data proclamata da Trump a tutto microfono come «giornata di liberazione» (giorno dell’imposizione unilaterale di dazi mondiali, per sintetizzare), anche se sul commercio i canali di comunicazione sono rimasti aperti. Ci si parlava, insomma.
E giovedì scorso è diventata evidente la dote che Bruxelles stava preparando: anzitutto c’è stato il rinvio delle contromisure Ue (gli Usa ci hanno già colpiti su acciaio e alluminio) anche su pressione dei governi come quello francese e italiano terrorizzati dalle minacce trumpiane su vino e champagne. Ma soprattutto, a Washington la squadra brussellese consegna i suoi «sforzi massimi» per disinnescare la guerra commerciale, come il portavoce della Commissione ha ribadito questo lunedì.
La presenza di Seibert, che conosce tutti i dossier, non fa escludere che l’Ue tocchi anche il tema del digitale e delle regole, sui quali i vari Musk e Vance lanciano affondi da mesi. «Dato che in questi giorni stiamo valutando l’implementazione delle normative digitali, come l’AI Act, il sospetto che la Commissione Ue voglia mettere anche questo nel negoziato c’è», conferma il presidente della delegazione dell’Europarlamento per le relazioni con gli Stati Uniti, Brando Benifei.
«Più che ai dazi si guardi all’ancor più insidioso uso delle criptovalute», ha detto questo lunedì il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, facendo intravedere un ulteriore spaccato delle trattative.
Affondi groenlandesi
Tanto Bruxelles vuole tentare la pacificazione, quanto bellicose appaiono le dichiarazioni e le mosse che le rivolge l’amministrazione trumpiana.
Nonostante la premier danese Mette Frederiksen sia corsa a metter mano al portafogli (dei contribuenti danesi) per aumentare le spese in difesa e per irrobustire la presenza difensiva in Groenlandia – tanto per disinnescare i timori Usa che Cina e Russia accrescano influenza nell’area – l’amministrazione Trump non ha smesso di lanciare affondi. Lo ha fatto in tempi recenti lo stesso Trump mettendo in palese imbarazzo davanti ai cronisti il segretario generale della Nato Mark Rutte durante la sua visita alla Casa Bianca.
E poi lo ha fatto il suo vice, J.D. Vance, nel weekend e nelle ore dei negoziati sull’Ucraina: «La Danimarca, che controlla la Groenlandia, non sta facendo il suo lavoro e non si sta comportando da buon alleato», ha detto a Fox News. «Dunque dobbiamo chiederci, come risolviamo i problemi di sicurezza nazionale?». E giù con lo scenario di «more territorial interest»: pretese («interessi») territoriali in Groenlandia. «Questo è quel che Trump farà, perché non gliene frega nulla se gli europei ci urlano contro. A lui interessano gli interessi dei cittadini americani first».
Contestualmente a questo affondo verbale, è arrivato quello a colpi di valigia. Quel che ha impressionato i groenlandesi – al punto da far parlare il primo ministro Múte Bourup Egede di una mossa «highly aggressive», altamente aggressiva – non è tanto e solo che la moglie di Vance, la “second lady” Usha Vance, si recherà in Groenlandia alla fine di questa settimana. Il punto è che in Groenlandia questa settimana, con altri itinerari e altre agende, si recheranno pure il consigliere trumpiano per la sicurezza nazionale Mike Waltz e il segretario all’Energia statunitense Chris Wright. Pare che la base militare statunitense Pituffik Space Base possa essere una tappa.
I tentativi di far passare il viaggio di lady Vance come “soft power” franano davanti a chiari interessi ufficiali su energia e sicurezza. «Questi non sono turisti qualunque», come ha detto il ministro degli Esteri danese Lars Løkke Rasmussen: «Senti che dietro c’è un segnale; è un’offensiva».
La botta e la risposta
Frederiksen ha ribadito che «con gli americani vogliamo collaborare» ma ha dovuto pur dire che «quella visita va vista assieme alle dichiarazioni fatte». La Commissione Ue ha continuato a dire che «supporta la Danimarca e l’integrità territoriale». Nel pomeriggio di lunedì, mentre dalle parti di Nuuk montava la furia – e dopo che Egede aveva allertato sulla «interferenza straniera» degli Usa – lo stesso Trump è dovuto intervenire sulla faccenda.
A suo dire gli Usa stanno collaborando con «alcune persone in Groenlandia che vogliono che accada qualcosa», «sono loro che chiamano noi e non noi che chiamiamo loro». Ha ribadito che l’area è importante per la sicurezza nazionale Usa e ha aggiunto: «I think Greenland is going to be something that maybe is in our future. In qualche modo la Groenlandia sarà nel nostro futuro». In quale modo, non è questione da poco: anche su questo gli Usa vanno all’offensiva con i dialoganti europei.
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