Dopo il vertice sovranista di Varsavia, che doveva inaugurare il grande gruppo della destra europea e che è stato un fallimento, ora i populisti di destra si danno appuntamento a Madrid, e non può che andare peggio. Certo, il Quirinale è un ottimo alibi, ma dal lato italiano ci sono defezioni che pesano: Giorgia Meloni non solo non va, ma ha fatto saltare il progetto questo inverno. Con le elezioni di metà mandato, Fratelli d’Italia ha messo a segno l’alleanza tattica dei Conservatori con il Partito popolare europeo. Matteo Salvini, che il progetto del grande gruppo lo voleva, ormai si è arreso. Nessun leader di primo piano italiano andrà a Madrid, anche se manda qualcuno in rappresentanza come beau geste. Il titolo del weekend madrileno, con Santiago Abascal di Vox che fa da padrone di casa a Marine Le Pen, al premier ungherese e polacco, è «difendere l’Europa». Ma a «difenderla» ci sono sempre meno leader di estrema destra, e ciò spiega il prosieguo del titolo: «Da minacce esterne e interne».

Da Varsavia a Madrid

«Ci si rivede a Madrid»: con questa promessa si sono salutati i leader di destra, a Varsavia, il primo weekend di dicembre. Il meeting polacco è stato la scommessa finale di chi, come Salvini, coltivava ancora la speranza di una alleanza tra i sovranisti di Identità e democrazia, come la Lega e il Rassemblement National, e i conservatori europei, la cui presidenza è in mano a Fratelli d’Italia e dove siedono anche gli ultraconservatori del Pis polacco e Vox. Dicembre era la data utile per consumare l’alleanza entro le elezioni di metà mandato previste per gennaio all’Europarlamento.

Ma il meeting di Varsavia, convocato dal leader del Pis, Jaroslaw Kaczysnki, è fallito prima ancora di aver luogo. Giorgia Meloni, presidente del partito conservatore europeo, e Raffaele Fitto, copresidente del gruppo all’Europarlamento, hanno boicottato sia il raduno che il piano: per loro non c’era nessuna fretta di stringere, hanno fatto sapere quando Meloni lo ha disertato. Nel frattempo però Fratelli lavorava a un piano alternativo. A Varsavia qualcuno ci è andato: non Salvini, che capito l’andazzo ha disertato, ma Marine Le Pen, Viktor Orbán e qualche altro. Sono all’incirca gli stessi che sono arrivati ieri sera a Madrid: c’è il premier polacco Mateusz Morawiecki, c’è Orbán, Le Pen e qualche altro.

Il nuovo assetto (e patto)

Nel frattempo però le elezioni di metà mandato all’Europarlamento ci sono state. E come conclude lo stesso Marco Zanni, il leghista che presiede il gruppo di Identità e democrazia, «la fretta aveva senso in vista di un accordo su metà mandato. Passata quella scadenza, che fretta c’è ormai?». Infatti neanche Zanni va a Madrid; manda in rappresentanza l’eurodeputato Paolo Borchia. Il passaggio del metà mandato intanto consegna un assetto che è cambiato. Raffaele Fitto ha messo a segno il piano alternativo al gruppone sovranista, e cioè l’avvicinamento tra i conservatori (Ecr) e i popolari (Ppe). Dentro Ecr c’è chi parla di un vero e proprio patto, anche se sull’uso di questa parola il Ppe è più reticente.

I fatti comunque parlano da sé. I popolari, e pure i liberali di Renew, hanno votato per il vicepresidente candidato dai conservatori, il lettone Roberts Zīle. I conservatori a loro volta hanno ritirato il candidato di bandiera polacco e hanno sostenuto Roberta Metsola presidente. Ecr ha preso la presidenza di una commissione, Bilancio, e otto vice, polacchi inclusi; perciò festeggia «l’uscita dall’isolamento». Ma oltre ad abbattere i cordoni sanitari, Ecr punta a fare da ago della bilancia e rendersi così indispensabile per i popolari: il ragionamento è sull’ufficio di presidenza, coi 14 vice, dove il conservatore da solo può spostare la maggioranza verso destra. «Dialoghiamo nel merito» è la parola d’ordine di Fitto che continua a tessere la rete coi popolari. Sia a livello nazionale, con le interlocuzioni tra Meloni e Draghi prima del voto sul Quirinale, che a Bruxelles Fratelli ha come obiettivo guadagnarsi il patentino di «credibilità come forza di governo». La Lega osserva le mosse e c’è chi, come il capodelegazione all’Europarlamento Marco Campomenosi alla vigilia di metà mandato, guarda a quelle poltrone prese dai conservatori e si chiede se non siano «un premio per aver fatto saltare il grande gruppo sovranista».

Gli irriducibili

Qualcuno a Madrid resta, e guarda caso soprattutto chi ha elezioni alle porte, e campagne elettorali da rinfocolare. Abascal pensa alle elezioni del 13 febbraio nella comunità autonoma della Castiglia e León.

Le Pen ha le presidenziali ad aprile, e il Rassemblement ha da pochi giorni perso due eurodeputati di peso, uno era il capodelegazione Jérôme Rivière, perché si sono convertiti a fede zemmouriana.

Orbán sfrutta come può il suo ruolo di outsider in vista delle elezioni di aprile: ha in programma pure un grande raduno primaverile con Abascal, con Eduardo Bolsonaro che è il figlio di Jair, il presidente del Brasile, e con esponenti della destra statunitense.

Se non bastasse, tiene i buoni rapporti anche con Vladimir Putin: in piena crisi ucraina, lo incontrerà martedì a Mosca. Il giorno prima, pare abbia in agenda un viaggio a Parigi: la notizia filtra dalla testata ungherese Népszava. Lo staff del premier non dice di più, ma neppure nega.

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