Le mosse esagitate del governo Meloni sul dossier immigrazione servono a nascondere i fallimenti multipli in sede europea. L’Italia è appena stata colpita dalle previsioni non incoraggianti del Fondo monetario internazionale e resta inerme di fronte alle mosse aggressive della Germania e dei falchi d’Europa. Mentre Berlino è concentrata sull’obiettivo di depotenziare una già flebile riforma del patto di stabilità e crescita, palazzo Chigi non è in grado di riorientare la discussione a suo favore.

I falchi in azione

L’attacco rigorista è partito da Berlino, e più precisamente dal ministero delle Finanze, guidato dal leader del Partito liberale – e liberista – Christian Lindner.

A inizio aprile Lindner ha fatto arrivare un non-paper, ovvero un documento politico informale, dritto a Bruxelles. Il governo tedesco ha esposto così le sue critiche verso i piani ventilati dalla Commissione europea.

Va detto che nonostante gli sforzi espressi dal commissario Ue agli Affari economici per trainare Bruxelles dall’era dell’austerità a quella dei piani di ristoro, l’idea di base di Bruxelles già in sé non rappresentava certo una svolta madornale; era semmai un piccolo respiro di sollievo.

L’affondo di Lindner è fatto per eradicare pure quello: il documento informale spazza via l’ipotesi di percorsi di riduzione del debito negoziati individualmente dallo stato membro con Bruxelles, e impone tagliole preimpostate, rigide, per la sforbiciata del debito stesso.

La linea dominante

Ci si potrebbe interrogare su come mai un governo a guida socialdemocratica si adatti così all’approccio da falco di una sua componente.

Non è che su questo fronte Meloni si sia costruita influenze, visto che neppure il suo grande alleato tattico Manfred Weber, che proviene dal centrodestra tedesco e che guida i popolari, ha una visione più indulgente. Tutt’altro: ad autunno 2021, durante il bureau romano del Ppe, Weber ribadiva che quella del Recovery è stata una stagione passeggera, e che secondo lui si sarebbe dovuti rientrare speditamente ai vincoli precedenti. Il leader del Ppe era in sostanza contro la riforma prima ancora che vi fosse.

Nel caso della coalizione Scholz, e in Ue, la linea di Lindner trova vigore anche perché è già in sintonia con quella dei cosiddetti “falchi”. Gli altri componenti della coalizione si sono limitati a spingere per alcuni accorgimenti. Il vicecancelliere, nonché ministro dell’Economia, Robert Habeck, che è figura prominente dei Verdi, difende l’idea che si debbano ottenere degli incentivi per essere spinti a investire sul digitale o sulla transizione ecologica.

Ovviamente, fosse stato per Lindner, neppure questo tipo di esenzioni sarebbe mai stato digerito; ma su questo è valso lo sforzo negoziale di coalizione.

Il cielo su Berlino

In generale però il governo Scholz è parso più di una volta in balìa degli orientamenti dei liberali. Il caso dell’accordo sui motori a combustione e quello del patto di stabilità sono affini sia per la metodologia di azione che per la vicinanza temporale.

Nel caso del pacchetto ambientale, la Germania ha spinto la Commissione Ue a negoziare una deroga sugli e-fuels quando ormai tutte le istituzioni europee avevano già trovato un accordo sulle auto. Berlino ha prima costruito un fronte di ecoscettici – Italia compresa – per poi negoziare per sé la deroga con la Commissione a margine dell’ultimo Consiglio europeo.L’Italia è rimasta con un palmo di naso.

Ed è verosimile che lo stesso schema si replichi in tema debito, visto che Lindner sta strattonando la Commissione e gli altri stati membri per rivedere al ribasso la già timida proposta di riforma di Bruxelles.

Divari e isolamento

Durante la visita del premier socialista spagnolo a palazzo Chigi, avvenuta a inizio aprile, il duo Pedro Sánchez – Giorgia Meloni sembrava aver trovato un punto di contatto tattico anche sul tema del debito. Con la Spagna che a luglio assume la presidenza di turno del Consiglio Ue, Sánchez aveva garantito che il dossier sarebbe andato avanti spedito. Meloni dal canto suo aveva sottolineato che «bisogna insistere anche sulla crescita, non solo sulla stabilità».

Ma pare che l’unica vittoria che palazzo Chigi si prepara a ottenere sia quella già tracciata dalla coalizione di governo tedesca, ovvero qualche deroga ed eccezione su punti specifici. Per il resto i tempi dell’austerità tornano terribilmente vicini, e la conquista italiana del Next Generation Eu, figlia anche dell’allora presidente dell’Europarlamento David Sassoli, rischia di finire accantonata o meglio dilapidata dal nuovo governo.

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