Questo giovedì una telefonata con Donald Trump, il giorno seguente gli incontri a Bruxelles con i vertici Ue e Nato, con Ursula von der Leyen, António Costa e Mark Rutte: da cancelliere Friedrich Merz vuole riconsegnare alla Germania la scena.

Il ritorno alla centralità è cominciato non per caso da Parigi, dove il cristianodemocratico si è recato questo mercoledì per prima cosa, per poi dirigersi a Varsavia e rilanciare così anche il triangolo di Weimar: al capo di governo tedesco non sfugge lo slittamento a est degli equilibri europei, a cominciare da quelli in tema di difesa.

Soprattutto, Friedrich Merz – che calibra le relazioni in modo pragmatico – sa bene che «ridare nuovo slancio all’amicizia franco-tedesca così come ad altri formati, per esempio Weimar» non sarà importante solo «nel campo di difesa e sicurezza» ma per il dominio strategico della Germania, che tra relazioni bilaterali e trilaterali ambisce a tornare regista delle dinamiche europee.

Il circolo franco-tedesco

Emmanuel Macron, che è infragilito in Francia e che vede esaurirsi il tempo del suo ultimo mandato, si aggrappa al potere ritrovato di Berlino con più slancio che può. Spolvera il duo franco-tedesco per ogni verso, che si tratti della narrazione – ora usa la moda del «réflexe franco-allemand», il riflesso ovvero l’impulso franco-tedesco – o della cornice istituzionale: «Un consiglio di sicurezza e difesa franco-tedesco si riunirà periodicamente», come hanno annunciato i due leader. Dopo che i rapporti si erano allentati o persino spezzati nell’èra Scholz, si capisce perché adesso invece sia interesse sia di Macron che di Merz trovare una sintonia: uno perché sa di essere debole altrimenti, l’altro perché vuol essere forte, entrambi trovano vantaggio reciproco nel fare squadra.

Questa non è necessariamente una buona notizia per l’Europa, tantopiù se il piano dei «cerchi concentrici» (o a due velocità, dove chi vuole più integrazione europea dà impulso agli altri) viene rideclinato in «circoli concentrici», dove cioè ci si sintonizza sui propri interessi (più o meno reciproci quando è possibile) più che su un orizzonte comune. Questo rischio c’è, ed è evidente dai tratti salienti dell’incontro di questo mercoledì: il fatto che Merz, dopo aver rotto il tabù del freno al debito per poter rafforzare la difesa tedesca, abbia ribadito pure all’Eliseo che «per tutto il resto il patto di stabilità e le regole devono restare intonse», chiarisce il perimetro (stretto) del suo europeismo. E dovrebbe anche fare da avvisaglia per l’Italia, se davvero i «due grandi amici» (come scrive Macron mostrando un selfie) si faranno forza sulle proprie priorità.

Quando Macron ha avviato la conferenza stampa, sùbito sotto la cortina fumogena della retorica, il suo intervento si è rivelato una lista di priorità da uomo d’affari. Ha detto che «con Berlino coordineremo anche il programma di innovazione nella difesa così da offrire innovazioni dirompenti per quella che sarà la guerra del futuro, la guerra di domani». Ha inoltre insistito sul fatto che «la risposta ai dazi Usa giustifica ancor di più una agenda di competitività e una accelerazione della semplificazione». Ha ripetuto che «bisogna alleggerire il carico di regole». Ha insomma chiarito quali sono i veri assi assai pragmatici sui quali lui e Merz – uno ex banchiere d’affari e l’altro pure legatissimo a finanza e corporation – intendono venire a patti e di conseguenza spingere il resto d’Europa («pilotaggio strategico», per dirla con Macron).

Triangolo di Weimar 2.0

Sulla deregulation che piace alle corporation i due trovano la porta spalancata a Varsavia, da Tusk: «Rivoluzione deregolamentazione» è il suo slogan.

Il triangolo di Weimar si rifonda su un’agenda slittata a destra, a cominciare dall’abbattimento delle regole europee, che von der Leyen sta già certosinamente facendo passare nelle istituzioni Ue a colpi di “pacchetti omnibus per la semplificazione”.

Tutti e tre, con le destre più estreme alle calcagna, non disdegnano di esibire un fronte duro anche sull’immigrazione: «Saremo duri sulle politiche migratorie», ha ribadito il premier polacco. E di certo tutti e tre ritengono di dover confrontarsi sulla difesa.

Macron spinge già dal primo mandato von der Leyen per l’aumento delle spese per la difesa, tantopiù che i colossi francesi, tedeschi e italiani sono tra i principali beneficiari dei fondi Ue in quest’ambito. Preme pure sull’ombrello nucleare francese su scala europea, tema su cui il Ppe e von der Leyen gli danno seguito da oltre un anno; e pure Merz, se non fosse che all’Eliseo ha usato prudenza sottolineando che «la priorità è restare inquadrati nella cornice Usa e Nato».

Il cancelliere tedesco ha ribadito questo mercoledì che all’Ucraina servono garanzie di sicurezza anche americane, esprimendosi inoltre per «il rafforzamento del pilastro europeo della Nato». E ha detto (con toni da leader dell’Ue, non di Berlino) che «tutti gli stati membri devono aumentare le spese militari», oltre che supportare l’Ucraina dove intende recarsi a breve. Macron si dice certo che «Mosca non rispetterà i tre giorni di tregua» ma sia lui che Merz aspettano che Putin chiarisca le sue intenzioni.

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