Lo «scudo» illiberale: Trump mette i dollari per salvare Orbán, una mina per l’Ue

Viktor Orbán è convinto di averla spuntata ancora una volta: certo, mai come alle prossime elezioni rischia di perdere la poltrona, ma con la Casa Bianca ha concordato ben più che un vago supporto politico. In ginocchio da Donald Trump, l’autocrate ungherese ha ottenuto da lui un’assicurazione finanziaria. Dal controllo dei media ai deepfake: Orbán teme il voto e fa il turbo-illiberale Lo scudo d’oro «Già qualche mese fa, prima che venissero in superficie le prime increspature tra il presidente Usa ed Elon Musk, il governo Orbán ha tentato un abboccamento con il ricchissimo Musk», dice a Domani Stefano Bottoni, autore di una biografia su Orbán appena uscita anche in tedesco. Secondo lo storico, che vive a Budapest, in quella occasione l’esecutivo avrebbe appunto «tentato di strappare concessioni finanziare; ma l’operazione non era andata in porto». Cosa che è invece accaduta con Trump nella trasferta di Orbán alla Casa Bianca il 7 novembre. A quanto pare quella che il premier ungherese ha battezzato come «la golden age» dei rapporti bilaterali non consiste solo in affari e supporto politico (l’Ungheria che si impegna in acquisti dagli Usa, energetici e non solo, in cambio di deroghe nei rapporti con Mosca e sostegno pre-elettorale); c’è anche qualcosa che combina dollari e spinta elettorale. La «golden age» degli autocrati: Orbán offre a Trump affari in cambio di supporto Orbán ne parla in termini di «scudo finanziario, sempre disponibile, senza limiti, quando e come il nostro paese ne avrà bisogno». Si può immaginare che il bisogno possa essere legato a fragilità economiche (picchi di inflazione, problemi per il fiorino ungherese, indebitamento), al pur parziale congelamento di fondi Ue legato alle violazioni dello stato di diritto, ma pure alla necessità di elargire concessioni pre-elettorali (il governo Orbán ha promesso ai pensionati una 14esima mensilità, per dirne una). Sulla somma il primo ministro resta vago, ma contempla «tra i 10 e i 20 miliardi di dollari» su cui poter fare affidamento. La forma dello «scudo» viene presentata come flessibile: «Esistono diverse declinazioni internazionali – la linea di swap, la linea di credito flessibile – tutte soluzioni che favoriscono la stabilità». Il ministro Gergely Gulyás precisa che la garanzia «non si limiterà a un prestito classico. Sarà una garanzia permanente, utilizzabile sotto forma di linea di swap, linea di credito flessibile o pure un vero e proprio finanziamento interstatale». Insomma, gli Usa sono pronti a fornire garanzia finanziaria per rafforzare il fiorino (e il sistema Orbán); il sottinteso è che l’Ungheria faccia il loro gioco, anche in Ue. Incontro con Péter Magyar, in testa ai sondaggi in Ungheria: «Orbán dovrà accettare la sconfitta» L’apripista illiberale Con lo «scudo» il leader di Fidesz è ancora una volta apripista dell’illiberalismo d’Europa, inaugurato nel 2010 con la svolta autocratica ungherese e trasformato in brand da esportazione – slogan di «democrazia illiberale» incluso – pochi anni dopo. Nel caso del doppio legame politico e finanziario con Trump, Orbán traduce nel contesto europeo uno schema già visto in Argentina in autunno, quando Milei, a due passi da una rovinosa caduta sia finanziaria che elettorale, ha trovato nei dollari trumpiani la rete di salvataggio. Il premier ungherese fa da apripista anche per un secondo motivo: se già rappresentava il cavallo di Troia di Putin nell’Ue, ora che le sue sorti sono ancor più dipendenti di prima anche da Washington, porterà nei tavoli internazionali non solo (né tanto) interessi europei, quanto quelli di terzi. Il che è rivelatore: nessuno più di Orbán rivela la contiguità tra Trump e Putin, già segnalata col tappeto rosso d’Alaska. Infine, lo «scudo» ci mostra che dietro la narrazione sovranista si nascondono non di rado connessioni e dipendenze da interessi extra confine. Trump e la strategia illiberale: la lezione dell’amico Orbán