Per il meloniano Nicola Procaccini l’aumento delle spese militari va difeso, e non importa che si dica – come ha fatto Rutte – che è una vittoria di Trump: «Il vero rischio sarebbe un presidente Usa isolazionista». Procaccini guida i Conservatori all’Europarlamento e fa da sponda ai Popolari quando si tratta – come è appena successo – di attaccare provvedimenti green o altro. «La verità è che non osavamo sperare tanto», dice commentando le mosse di von der Leyen e il più generale slittamento a destra dell’Ue.

«L’Europa pagherà ALLA GRANDE – dice Rutte – ed è una vittoria di Trump». Lei racconta che con Meloni da giovane cantava canzoni perché l’Europa si svincolasse dagli Usa: ora invece Roma inseguirà il 5 per cento per assecondare Washington?

Le richieste di Trump sono le stesse dei suoi predecessori dem: gli Usa hanno l’aspettativa – legittima – che gli altri partner Nato sostengano per la difesa gli stessi sforzi. Quanto alle canzoni di gioventù, è vero: c’era un portato della destra italiana che immaginava una sorta di terza via tra capitalismo Usa e regime sovietico. Ma fa parte del retaggio degli anni Settanta: se i fatti intorno a me cambiano, io cambio opinione; e non lo dico per Trump, lo farei anche con Biden, per l’appartenenza a un occidente democratico.

Roma non ha lo spazio fiscale di Berlino, che fa grandi passi verso il riarmo e ha allentato i suoi freni al debito ma non quelli comuni. Von der Leyen offre solo un pugno di prestiti: le deroghe ai vincoli europei sono limitate alla difesa e pro tempore. Non teme squilibri tra paesi? Come si arriva al 5? Tagli al welfare?

Il rafforzamento della difesa era già nel nostro programma. Alla domanda su quanti asili potrebbero chiudere rispondo con un’altra domanda: se uscissimo dalla Nato quanto dovremmo spendere? Di più. Meglio sacrificare parte del bilancio per restare nell’alleanza. Uno squilibrio rispetto alla Germania è inevitabile ma non la temo: è una democrazia.

Lei infila Trump tra i democratici e i paesi democratici tra i pacifisti: sicuro che lo schema regga il test dei fatti?

Vedo un bipolarismo tra l’occidente – con gli Usa alla guida del mondo libero – e un altro blocco, il quartetto del caos (Cina, Russia, Iran, Corea del Nord) e soci. Trump ha perso e poi vinto, tra non molto si vota per il Congresso: la democrazia ha capacità di autoriformarsi che i regimi non hanno.

Niente imbarazzi per le uscite dell’«amico» Trump?

Il presidente Usa è sicuramente fuori dall’ordinario, ma credo ci sia sempre una logica nelle sue mosse; qualche volta la rendita politica è immediata, altre volte no. Quando ha attaccato l’Iran ha fatto una scommessa e in questo istante possiamo dire che abbia funzionato.

Il fatto che segua una logica non la rende di per sé conveniente per noi europei.

La vera paura che tuttora abbiamo non è l’eccesso di pervasività dell’amministrazione Trump nel mondo, ma una tendenza isolazionista tipica della destra Usa.

Una richiesta di popolari e conservatori ha innescato la mossa della Commissione, che ha ventilato il ritiro della legge contro il greenwashing (la «green claims»). Si parla di maggioranza von der Leyen in tilt. O forse sono le maggioranze variabili di cui lei parlava già un anno fa: fino a quando reggeranno?

Dopo le europee qualcosa è cambiato: qui in Europarlamento, il punto di equilibrio. Si è spostato verso destra, verso di noi, pur non essendo noi autosufficienti. Pur senza alleanze formali col Ppe, ogni volta che si vota su dei contenuti – come l’immigrazione o il green – quei numeri emergono. Nel frattempo anche il Consiglio si è caratterizzato molto più a destra di prima, sia perché i governi di centrosinistra sono sempre meno sia per gli slittamenti dei governi contro l’immigrazione.

Fino a quando il Ppe potrà oscillare a piacimento tra destre estreme e socialisti restando regista incontrastato?

Il Ppe attua la politica dei due forni. Noi da tutto questo abbiamo guadagnato che prima eravamo esclusi, ora i popolari hanno anche una possibilità di manovra a destra.

Il governo Meloni è corso a manifestare sostegno al ritiro della direttiva green: un’altra mano tesa a von der Leyen?

La verità è che non osavamo sperare tanto: è talmente evidente lo spostamento verso destra della politica europea che laddove nella scorsa legislatura avevamo dovuto tenere una posizione al ribasso ora invece possiamo esprimere pienamente la nostra agenda politica. Non appena anche dalla Germania, dai cristianodemocratici tedeschi, è arrivata la possibilità di fermare la direttiva, abbiamo preso l’occasione al volo sia in Consiglio che nella commissione dell’Europarlamento. Le cose andranno così sempre più spesso.

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