L’Europa del ReArm va a due velocità. Oltre a Ursula von der Leyen che ha recitato questo martedì davanti all’Europarlamento le citazioni di Alcide De Gasperi sulla «difesa comune» per poi far gonfiare le spese militari nazionali e scavalcare il Parlamento europeo stesso, nelle stesse ore e in parallelo si stanno sviluppando gli incontri di capi di stato maggiore e ministri della Difesa che Emmanuel Macron ha orchestrato a Parigi tra martedì e mercoledì. Non rispondono al livello Ue, ma a quello doppio della «coalizione dei volonterosi» francobritannica e delle relazioni Nato (sono 30 i vertici delle forze armate coinvolti).

Nei suoi interventi sui piani europei per irrobustire la difesa, von der Leyen tatticamente cita «Regno Unito, Norvegia, Canada, paesi like-minded, che la pensano come noi», ma c’è pure la Turchia, che spinge per avere un ruolo (due giorni dopo l’annuncio su ReArm, Leonardo ha stretto un accordo sui droni con il gruppo turco Baykar) e che è spinta dal segretario generale Nato: pare che in questi giorni abbia sollecitato i leader europei a stringere con Ankara.

Mark Rutte ha la valigia pronta per Washington, dove questo giovedì incontrerà Donald Trump. A chi nei giorni dei più atroci affondi del presidente Usa contro l’Ucraina (tra aiuti bloccati e stop all’intelligence) aveva domandato se gli Usa fossero ancora da considerare come alleati, von der Leyen ha risposto di sì, aggiungendo: «Alleati transatlantici». La Nato resta tuttora per Bruxelles la cornice di riferimento, anche nel disegnare gli aumenti di spesa.

«Security deficit» e Ucraina

Questo martedì la presidente ha parlato di «crisi della sicurezza europea», di «security deficit» («il tempo delle illusioni è finito»), ha insistito che «il Cremlino spende più di noi». Per amplificare la percezione emergenziale, von der Leyen ha messo a battesimo una sorta di gabinetto di guerra dei commissari (il «security college») e ha costretto i cronisti a una conferenza stampa domenicale seppur l’occorrenza fosse quella dei cento giorni di mandato, che cadevano di martedì. E non solo la sua famiglia popolare o quella macroniana, ma pure i socialisti la assecondano: «Gli 800 miliardi sono un passo positivo ma solo il primo, serve una nuova edizione di Next Gen EU», ha detto la capogruppo García Pérez, aggiungendo che «resistere non basta: dobbiamo aiutare l’Ucraina a vincere». Macron ha già arringato i francesi la scorsa settimana sul fatto che «Putin non si fermerà», «la patria ha bisogno di voi» e «nulla sarà come prima». Questo martedì ha incontrato i capi di stato maggiore dei paesi disposti a ragionare su una presenza in Ucraina, mentre il giorno seguente in Francia convengono i ministri della Difesa italiano, tedesco, polacco e britannico.

La risoluzione che in queste ore gli europarlamentari voteranno ha come oggetto «il libro bianco sul futuro della difesa europea», che la Commissione von der Leyen mette sul tavolo in tempo per il summit dei leader della prossima settimana. L’Europarlamento infatti non può incidere su ReArm Europe: von der Leyen farà passare il piano con una leva emergenziale che evita l’approvazione d’aula (e gli imbarazzi). «Terremo costantemente aggiornato l’emiciclo», ha detto questo martedì con effetto paradossale.

L’aumento dei fondi per l’industria militare segue una traiettoria lunga, che inizia nei primi Duemila, ai tempi della convenzione sul futuro dell’Europa (il prodromo della Costituzione poi fallita) su spinta dei lobbisti dell’industria militare, che prosegue con il vertice di Versailles di marzo 2022 in cui i leader hanno concordato di aumentare le spese militari, e che arriva fino a oggi, tra forzature della peace facility, piegata al riarmo, e programmi europei come Asap, Edip e così via. Ma la spinta di von der Leyen per «mobilitare fino a 800 miliardi», dei quali solo 150 generati con garanzie comuni e comunque presi a prestito dagli stati, è dovuta anzitutto al cambio di postura di Berlino, che adesso non solo concede ma spinge per le deroghe ai vincoli fiscali sul riarmo, oltre che al «meet the moment» (cogli l’attimo, citando von der Leyen) emergenziale.

Piano a lungo termine

La doppia velocità europea non riguarda solo il disallineamento tra il livello Ue e quello intergovernativo, ma pure il piano di riarmo in sé. Sia von der Leyen che Macron si appigliano al clima emergenziale, ma vedono il piano di ReArm in una direzione di lungo termine, come testimoniano numerosi segnali non solo brussellesi. Berlino ipotizza la conversione dell’automotive in difficoltà in “tankmotive” (carrarmati e difesa), Lagarde (Bce) prospetta che così possa esserci «crescita», von der Leyen parla di «effetti positivi per economia e competitività, nuove fabbriche e linee produttive che creeranno buoni posti di lavoro». E il presidente del Consiglio europeo, un socialista, António Costa, le va dietro: questo martedì agli eurodeputati ha detto che «competitività e difesa devono andare per mano, per creare posti di lavoro» e che «questa è la via per proteggere il nostro modello sociale».

È la «economia di guerra» di cui Macron parla da molto tempo, o la «economia della guerra» per citare Le Monde. E come mostra la risoluzione che questo mercoledì gli eurodeputati voteranno, il piano è «di lungo termine», tanto che nel testo viene già inquadrato un altro potenziale nemico: la Cina.

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