«I dazi contro l’Ue saranno al 25 per cento, riguarderanno le auto e non solo», ha appena detto Donald Trump tornando a colpire l’Europa come un pugile suonato. Poche ore prima, era stata Bruxelles stessa ad andare all’attacco, non di Washington ma delle sue stesse tutele socioambientali.

Avere Trump, Musk e Vance che a ogni occasione provano a sfondare le regole Ue può aver fatto da innesco (o alibi), ma già prima che arrivasse «un nuovo sceriffo in città» i leader europei scalciavano per la «deregolamentazione» in sincrono con le lobby. «Pausa regolatoria!», chiedeva Macron. «Deregulation!», è in linea Merz, a cena con il presidente francese. «Rivoluzione contro la regolamentazione!», sferra Tusk.

E più gli equilibri slittano a destra, più Ursula von der Leyen fa suo il motto meloniano: «Non bisogna disturbare le imprese». Così questo mercoledì ha tagliato il nastro.

Il «red tape»

Contestualmente all’inaugurazione del Clean Industrial Deal, il piano per le imprese orientato alla decarbonizzazione, palazzo Berlaymont ha sdoganato i primi due pacchetti di «semplificazione» (deregolamentazione).

Proprio quei dossier cari alla società civile, da ambientalisti e sindacalisti, e messi a segno con sisifea fatica durante il primo mandato von der Leyen – la tassonomia boicottata da Macron in nome del nucleare, o la direttiva per la sostenibilità socioambientale di impresa intralciata dal governo tedesco – finiscono ora bucherellati come una groviera sotto il pretesto del taglio al red tape, gli oneri burocratici per le imprese.

«Dobbiamo anche tagliare il red tape»: l’ultima volta che Macron ha pronunciato questa frase, era ginocchio a ginocchio con Trump, lunedì a Washington. E anche se questo mercoledì il primo piatto nella cena privata con il futuro cancelliere tedesco sarà stato sicuramente l’aggiornamento su Ucraina, Usa e sicurezza, c’è da scommettere che l’Eliseo abbia discusso con Friedrich Merz – figura a dir poco attigua al mondo imprenditoriale – anche le mosse in quest’ambito.

Un filo rosso, anzi un red tape, lega la cena di Parigi, l’intervento di Ursula von der Leyen davanti ai rappresentanti delle imprese ad Anversa e la presentazione dei dossier a Bruxelles.

Il piano di von der Leyen

Il red si presenta ammantato di green. Abilmente, la Commissione Ue ha anzitutto acceso i riflettori sul Clean Industrial Deal. Il piano è politicamente strategico: questa estate, quando von der Leyen era in cerca di voti per la rielezione, lo ha usato per schivare un tranello.

Da una parte infatti aveva pezzi di destra, compreso il suo Ppe, che uscivano da una campagna per le europee costruita sull’attacco al Green Deal. Dall’altra i Verdi europei si erano offerti di puntellare la sua maggioranza. All’epoca erano stati i Verdi stessi a offrirle una via di uscita, presentandole in fase negoziale, a inizio luglio, la richiesta di battezzare «un Green Industrial Investment Plan», cioè un piano di investimenti industriali verde, «da lanciare entro i primi cento giorni». Ecco ora il Clean Industrial Deal: rassicura i sostenitori del Green Deal (e infatti i Verdi hanno votato per von der Leyen) ma è presentabile alle destre pro business.

Nella pratica, annuncia un nuovo quadro di aiuti di stato per consentirne in ambito di rinnovabili e non solo; oltre alla spinta sull’economia circolare, insiste sull’innovazione, proponendo un fondo apposito e partendo da questo anche una “banca per la decarbonizzazione” con una capacità da 100 miliardi. Rientrano nel piano anche il tema dei costi dell’energia; la vicepresidente che lavora sul dossier, Teresa Ribera, è l’ideatrice della «eccezione iberica» che ha salvato la Spagna dalle impennate.

Proprio a lei i cronisti hanno chiesto se sente sue le iniziative lanciate, date le allerte sulla deregolamentazione socioambientale. «Il piano non mina gli obiettivi climatici e tiene il punto sul fatto che è la vocazione clean a rendere la nostra industria greater», ha risposto.

I decreti mille sregolazioni

Ma dietro la facciata green, o clean, ci sono i pacchetti per la «semplificazione» (di fatto, deregolamentazione). Già questo mercoledì ne sono arrivati due, e altri seguiranno. Rappresentano «il secondo pilastro del piano», dice von der Leyen.

Si chiamano “omnibus” perché indicano in che modo intervenire su altre leggi (direttive) già approvate, e un po’ nello stile dei decreti milleproroghe nostrani, possono nascondere tra cavilli e tecnicismi svolte politiche importanti. Von der Leyen li ha messi a segno con piglio accentratore, chiedendo alle direzioni generali di reagire sulla proposta affidata a Valdis Dombrovskis entro poche ore (invece che settimane).

In compenso la raccolta delle istanze delle lobby imprenditoriali è stata ricca e attenta, al punto che le richieste di Business Europe si trovano rispecchiate nell’omnibus. La stessa von der Leyen lo ha ammesso e rivendicato, questo mercoledì, parlando ad Anversa allo European Industry Summit: «Come avete visto, nei primi omnibus abbiamo già incluso molte delle proposte che ci avete scritto, e saremo grati di averne altre».

Di fatto, con i primi “decreti mille sregolazioni” von der Leyen ha già sbriciolato sia la tassonomia e il Cbam, che direttive come la Corporate Sustainability Reporting e la Corporate Sustainability Due Diligence. Quelli che la presidente presenta come tagli a oneri burocratici, offrendo alle corporation «risparmi fino a 6 miliardi», sono in realtà colpi di spugna agli obblighi di trasparenza e di vigilanza socioambientale da parte delle imprese.

Non a caso piovono allerte non solo da gruppi politici progressisti (critiche dai verdi, bocciature dalla sinistra, lettere preoccupate dai socialisti) ma dalla confederazione europea dei sindacati: «La Commissione indebolisce meccanismi creati per responsabilizzare le corporation sullo sfruttamento dei lavoratori lungo tutta la catena di approvvigionamento», spiega Etuc.

Una due diligence solo per i fornitori diretti: non solo i pacchetti liberano molte imprese dal rendicontare, ma pure dal tenere gli occhi aperti. «Con l'eliminazione della responsabilità civile, davanti a condizioni di lavoro pericolose le vittime e le loro famiglie resteranno prive di accesso alla giustizia», scrive la cordata di ong che aderisce all’iniziativa Impresa 2030.

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