Sotto la pressione del conflitto in Ucraina, l’Unione europea sta cambiando profondamente la propria natura. La plenaria straordinaria dell’Europarlamento che si è tenuta martedì a Bruxelles, con la partecipazione anche dei presidenti di Commissione e Consiglio europeo, dell’alto rappresentante, e con il presidente ucraino in collegamento video, è un momento simbolo di questa svolta. L’Unione, per come la abbiamo conosciuta finora, è nata per la pace: si fonda sulla condivisione delle risorse, carbone e acciaio, per prevenire i conflitti nel continente. Inoltre l’Unione non è una nazione; spesso ci è apparsa anzi sin troppo disunita. Eppure martedì all’Europarlamento si è materializzato quello che i politologi chiamano rally ‘round the flag effect: in caso di minaccia esterna, la nazione si stringe attorno alla bandiera; di fronte alla guerra, non c’è opposizione che tenga. Le istituzioni Ue hanno lanciato un messaggio univoco: è l’Europa, non solo Kiev, a essere in guerra. L’Unione va in guerra e investe, nella guerra. «Siamo una hard power», arriva a dire l’alto rappresentante Ue Josep Borrell: da forza di pace, l’Ue ambisce a diventare potenza militare. Vladimir Putin è il nemico e di fronte alla minaccia esterna le divisioni interne si ricompattano, che si tratti degli scontri con la Polonia e l’Ungheria sullo stato di diritto, o delle ambiguità dei sovranisti verso la Russia. Anche il tema dell’accoglienza viene affrontato in un’altra ottica.

Lo scontro e Putin

Non c’è neppure bisogno che Volodymyr Zelensky, nel suo intervento video, chiarisca che «senza l’Ue siamo soli». L’Unione europea ha già preso posizione: quando la presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, esprime il sostegno a Kiev, partono scrosci di applausi. Inizia il suo intervento così: «Siamo qui sotto l’ombra gettata dalla guerra di Putin. Una guerra che non abbiamo provocato, né cominciato. Il messaggio sia chiaro: non guarderemo dall’altra parte». L’Unione si sente in guerra con Kiev. «La guerra è tornata, in Europa»: Ursula von der Leyen rievoca lo scontro di civiltà teorizzato da Samuel Huntington, quando dice che «non si tratta solo dell’Ucraina, è uno scontro tra due mondi, due sistemi di valori». Gli interventi di martedì in aula definiscono due punti: in guerra c’è tutta l’Ue, e il nemico è Vladimir Putin. C’è chi, come il presidente del gruppo dei Verdi, si rivolge direttamente al presidente russo. Una eurodeputata popolare arriva a suggerire ai russi di destituirlo, ma riferimenti più velati arrivano anche dai membri della Commissione: Borrell da giorni sollecita proteste anche in Bielorussia, mentre von der Leyen promette «amicizia a quest’altra Russia, quella che vuole la pace e finisce arrestata da Putin perché protesta».

Potenza militare

Il tornante della guerra in Ucraina comporta l’accelerazione di una tendenza già in corso da parte di Bruxelles, e cioè la militarizzazione dell’Ue. Il segnale più chiaro arriva da Josep Borrell, quando avverte gli europarlamentari, che hanno potere di bilancio, che devono essere disposti a tener conto di questa svolta. L’esempio concreto è la scelta di utilizzare la «peace facility» per inviare a Kiev anche armi letali. La scelta di Bruxelles di trasformare l’Ue in una potenza militare, una «hard power» come la chiama Borrell, non è improvvisa. Nel 2002, durante la Convenzione sul futuro dell’Europa, i lobbisti dell’industria militare sono già attivi per chhiedere a Valéry Giscard d’Estaing di dar vita a un’agenzia europea per la difesa. Nel 2016, sempre sotto il peso dei gruppi di interesse che poi beneficeranno di quei fondi, viene proposto il fondo europeo per la difesa. Più di recente, quest’estate, Borrell definisce il disastroso esodo dall’Afghanistan come il momentum per procedere verso la difesa comune; al contempo porta avanti lo strategic compass, la «bussola strategica» che serve a rilanciare l’impegno politico Ue in quella direzione. Ora con la guerra in Ucraina avviene un passaggio ulteriore. Finora, gran parte dei finanziamenti è stata presentata come fondi alla ricerca e sostegni all’industria europea; anche perché stando ai trattati l’Ue è potenza di pace, non d’attacco. Inoltre la gran parte delle iniziative si sono svolte a livello intergovernativo, e lo stesso fondo di cui fa parte la «peace facility» è fuori dal bilancio europeo; il che peraltro preclude un pieno controllo democratico da parte dell’Europarlamento. Borrell sta indicando dove si muove l’Ue: anzitutto, la capacità di attacco, con l’invio di armi offensive a un paese terzo in guerra. E poi, lo scenario di utilizzare anche fondi del bilancio comune a questo fine. Scelta che nel lungo termine fa felice l’industria militare.

Sovranisti e fronte interno

Con la risoluzione di martedì, approvata a grande maggioranza, le famiglie politiche europee si schierano nitidamente contro Putin. Posizione che rivela l’effetto centripeto di questa guerra: da una parte, la Polonia rivendica il proprio allineamento all’Ue. «Fate un reset», manda a dire a Bruxelles il polacco Ryszard Legutko, copresidente dei conservatori. Spera così di sopire lo scontro sullo stato di diritto. Quanto alla Lega, usa l’occasione per rifarsi la verginità dopo i trascorsi filo-putiniani. Marco Zanni, leghista che presiede Id, il gruppo sovranista, lamenta che non sia stato permesso a Id di cofirmare la risoluzione. Pochi segni di pentimento si intuiscono però dai discorsi dei lepeniani come Jordan Bardella. Tutte le forze politiche sono allineate stavolta per l’accoglienza dei rifugiati ucraini; anche se la destra si accoda perché «sono profughi veri», parole di Matteo Salvini. E perché per l’Europa questa guerra è europea.

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