Una fonte vicina al dossier rivela a Domani il succo dei documenti negoziali scambiati tra Washington e Bruxelles. La Casa Bianca dà per assodata la “tassa” al 10 per cento e chiede pure molto di più, dall’abbattimento delle regole alle svolte geopolitiche
Coi riflettori puntati altrove – telefonate moscovite, incontri romani – le trattative sui dazi tra Stati Uniti e Ue si intensificano. Una fonte vicina al dossier riferisce a Domani i contenuti di un documento che la Commissione Ue ha inviato a Washington e su cui per ora pubblicamente non si è esposta. La dozzina di pagine è una risposta – ben più articolata – a un sintetico appunto trasmesso dall’amministrazione Usa.
Le interlocuzioni vanno avanti da mesi, ma si erano arenate al livello tecnico prima di questo scambio, che rappresenta un salto in avanti nella dinamica transatlantica. L’amministrazione Trump – anche se in una paginetta – a Bruxelles chiede tantissimo: vorrebbe mantenere il dieci per cento di dazi e trattare solo su quel che avanza; in cambio pretende un allineamento totale dell’Ue sulla Cina e molto altro, dal versante dei buoni del Tesoro all’abbattimento di tutele e regole.
Una linea massimalista che neppure la conciliante commissione von der Leyen può dirsi disposta ad assecondare; né gli stati membri (consultati dalla Commissione prima di inviare il documento) possono digerire tutto senza fiatare.
Botta e risposta
La partita negoziale si è riaccesa mercoledì 14 maggio, quando il commissario Ue al Commercio Maroš Šefčovič – che mesi fa ha iniziato le interlocuzioni (viaggi compresi) con Washington – ha concordato al telefono con il suo omologo, il segretario al Commercio Usa Howard Lutnick, che «l’impegno negoziale si intensificherà».
Contestualmente, Lutnick ha fatto avere per la prima volta un breve documento scritto, il che è una svolta: nei mesi precedenti l’amministrazione Trump non aveva neppure esplicitato le sue richieste. Fino a un mese fa, un Šefčovič esasperato lamentava che «entrambe le parti dovrebbero portare qualcosa al tavolo: l’Ue fa la sua parte, ora è necessario che pure gli Usa definiscano la loro posizione».
La fonte europea a conoscenza del dossier spiega che l’amministrazione Trump pretende di dare per assodati i dazi al dieci per cento e di trattare sul resto; un’ipotesi che «nessuno è disposto ad accettare senza discuterne». Ipotesi che però nel frattempo il Regno Unito – col quale gli europei si confrontano – ha già digerito: nel patto con Starmer, Trump ha alleggerito i dazi extra (quel 25 per cento su auto, acciaio e alluminio), ma ha mantenuto la tassa del 10 per la maggior parte dell’import dal Regno.
Non si tratta dell’unico sgambetto che gli Usa tentano con gli alleati europei (ai quali già chiedono di aumentare le spese militari, comprare armi Usa e gestire «le pressioni alla Russia con sanzioni europee» citando il cancelliere tedesco). Lo scambio di documenti conferma quanto riportato da tempo su queste colonne: l’attacco Usa alle regole Ue.
La nota conferma le pressioni Usa per abbassare gli standard europei su ambiti come i prodotti agricoli (l’Ue finora si è incardinata su un principio di precauzione, cioè di massima tutela dei consumatori, che tiene fuori ogm, carni agli ormoni, polli al cloro e via dicendo). «Su questo Bruxelles non ha potuto fare aperture», riporta la fonte riguardo alla risposta Ue.
«Washington punta anche contro norme che ritiene discriminatorie, con ciò intende anche le norme Ue sul digitale; chiede disponibilità a cambiarle, e vuole trattare sulla tassazione di Big Tech».
La Cina e il Tesoro
Un punto su cui la Commissione è aperta a ragionare almeno in parte riguarda i rapporti con la Cina: gli Usa spingono perché Bruxelles si allinei a loro nel confronto anti cinese.
Quando il premier spagnolo è andato a Pechino, un indispettito segretario al Tesoro Usa ha protestato, rivendicando che «l’Ue dovrebbe fare squadra con noi»; salvo poi andare lui stesso in segreto a Pechino la settimana seguente a trattare un accordo.
E l’Ue che fa, difende la tanto declamata «autonomia strategica» o si intruppa? «Noi – spiega la fonte – proponiamo un allineamento, sì, ma settoriale, della supply chain: questo punto è nella controproposta Ue». Allineati con gli Usa e divorziati dalla Cina, ma cominciando da alcuni settori: quali? «Sicuramente l’approvvigionamento di semiconduttori e chip».
C’è pure un altro elemento di svolta, nei rapporti Ue-Usa: nelle prime interlocuzioni, gli europei lamentavano che Trump non le affidasse «a chi davvero decide, cioè lui e Navarro». Lo aveva detto esplicitamente Bernd Lange, presidente della commissione Commercio dell’Europarlamento, che assieme a Brando Benifei (che presiede la delegazione dell’Eurocamera per le relazioni con gli Usa) tornerà in missione a Washington la prossima settimana. Ma stavolta nei negoziati Ue-Usa è coinvolto Scott Bessent, segretario al Tesoro. Non a caso, tra le tappe degli eurodeputati in Usa, stavolta ci sarà pure il dipartimento del Tesoro.
La ragione è illustrata dall’ex ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire: «La Casa Bianca, che ha inventato quest’idea fumosa dei buoni del Tesoro a cent’anni e senza interessi, ci chiede questo: voi finanziate il nostro debito comprando questi buoni del Tesoro, e in cambio evitate i dazi. Sconvolgente la nuova mania degli americani di puntare la pistola alla tempia degli alleati».
Interessanti i dati pubblicati la scorsa settimana, dopo l’accordo Starmer-Trump sui dazi: i buoni del tesoro Usa detenuti da investitori britannici passa da 30 a 780 miliardi.
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