Il paradosso dell’Europa titubante: sono gli asset russi a congelare l’Ue

A quanto pare per l’Ue smuovere gli asset russi congelati è come spingere il masso di Sisifo: Bruxelles non fa in tempo a incassare una strizzata d’occhio dalla Bce, scettica fino a tempi recentissimi, che le agenzie già battono la notizia del premier belga pronto alle vie legali se la decisione verrà forzata senza il suo pieno consenso. Fino a questo mercoledì pomeriggio, l’unica certezza dalle parti di Bruxelles era quindi la stessa delle settimane precedenti: quello che in gergo viene chiamato «prestito ponte», e che significa che – con asset o senza – saranno gli europei a garantire a Kiev agibilità finanziaria per l’anno che viene. Merz in missione per sbloccare gli asset russi, Usa contrari: «E a voi la Nato entro il 2027» Negoziati febbrili «Più vicino che mai». Certo, la frase pronunciata questo mercoledì da Christine Lagarde (Bce) si riferisce al fatto che «questa proposta di prestito di riparazione è quanto di più vicino a una che sia in linea col diritto internazionale». Ma – dato che la Bce negli scorsi giorni aveva declinato l’ipotesi di coprire le spalle agli europei sull’operazione – il segnale è interpretabile come un semaforo giallo, se non verde, al piano di Bruxelles sul “prestito di riparazione”. «Se riusciamo a chiarire la nostra posizione, gli investitori in asset denominati in euro si renderanno conto che non si tratta di una pratica ricorrente con cui ci impossessiamo della proprietà altrui, ma di un caso eccezionale che peraltro non rimuove il titolo di proprietà della Russia su quegli asset», sostiene Lagarde. L’approssimarsi del summit tra leader europei, quel 18 dicembre che era atteso da Kiev come una data fatidica per le sorti delle proprie finanze, non è l’unico fattore che aumenta la pressione sul dossier. Il febbrile lavoro degli ambasciatori dei governi (riuniti nel Coreper) è dovuto anche alla consapevolezza che la questione possa rappresentare una leva per l’Ue durante i negoziati che Trump si è intestato con il Cremlino, oltre che alla necessità di individuare basi giuridiche che schiodino Bruxelles dal vincolo dell’unanimità. «La corsa dell’Ue per aggirare Orbán sugli asset russi prima del summit europeo», titolava mercoledì pomeriggio il Financial Times. Leve di emergenza Anche se nella vulgata è Orbán il grande utilizzatore del veto, oltre che il più evidente cavallo di Troia di Putin e Trump nell’Ue, anche altri governi frenano (e gli Usa hanno fatto pressioni a tal fine). «Leader europei deboli»: Trump infierisce sull’Ue, che si lascia bullizzare E poi c’è la posizione scomoda del Belgio, paese dove ha sede Euroclear, presso la quale gli asset sono depositati. «Non è nel dna del Belgio giocare in Europa la stessa partita che gioca l’Ungheria», ha detto questo mercoledì il premier belga, che in Ue siede tra i Conservatori europei e che tiene a non apparire come un ostacolo per Kiev. «Ma rimango scettico», è tornato a ribadire Bart De Wever. «Restano per il Belgio tre condizioni che vanno garantite entro il 18, il che vuol dire molto lavoro in una sola settimana. Quindi – ha concluso – continuo a sostenere un’altra soluzione». L’articolo 122 del Trattato sul Funzionamento dell'Ue – già noto perché abusato da von der Leyen per schivare l’Europarlamento sul riarmo – è ventilato anche come base giuridica per vincolare tutti gli stati a prestare sostegno a chi affronti un rischio finanziario per Kiev. Ma questo mercoledì De Wever ha avvertito che «il Belgio non esclude di adire alle vie legali se costretto ad accettare l'uso del 122, con decisione a maggioranza qualificata e non all'unanimità, per finanziare un prestito basato sugli asset».