In conclusione di un Consiglio europeo informale durato due giorni, in una sala fastosa della reggia di Versailles, il presidente francese Emmanuel Macron sul podio della conferenza stampa ha chiarito che «noi non siamo in guerra. Non abbiamo risposte sul teatro di guerra perché non siamo in guerra sul terreno». Ha dovuto precisarlo per schivare le domande dei giornalisti francesi, che gli chiedevano conto della «impotenza», sua ed europea, nel porre fine al conflitto. Eppure tutte le conclusioni tratte questo venerdì dai leader lasciano intendere che la guerra in Ucraina è l’occasione storica per mettere a segno alcune svolte strategiche già nel cassetto. Il caso esemplare è quello della difesa, ma il conflitto entra negli ambiti più disparati: il premier italiano e quello spagnolo, ad esempio, evocano una deregolamentazione degli ogm. Anche se «non siamo in guerra», proprio questa guerra innesca un passaggio al quale finora i vertici europei parevano sordi: riformare l’Ue.

La difesa e le armi

«Abbiamo concordato di aumentare in modo sostanziale le spese nel settore della difesa»: lo sottoscrivono i leader nella dichiarazione di Versailles, ripromettendosi di «sviluppare» l’industria militare. Gli effetti di questa direzione politica riguardano anzitutto l’Ucraina, ma non solo. La quota della «peace facility», che in modo inedito nel caso ucraino viene usata per armare un paese terzo in conflitto, verrà raddoppiata da mezzo miliardo a un miliardo: l’alto rappresentante Ue Josep Borrell dice di aver trovato consenso e unità su questo punto.

Borrell ha trovato anche la sponda della presidente dell’Europarlamento all’idea di «usare il bilancio europeo per la difesa». Il passaggio è indicativo: le spese per la facility possono essere aumentate senza bisogno di approvazione degli eurodeputati, seguono una strada intergovernativa. Il motivo per cui si parla di bilancio è che «i vertici europei preparano il terreno per indirizzare ulteriori fondi Ue a fini militari», spiega Laetitia Sédou dello European network against arms trade. Finora i fondi europei dedicati alla difesa, oltre a crescere, hanno alimentato con soldi pubblici i colossi come Thales e Leonardo.

Maggio e la convenzione

Il premier Mario Draghi spiega che «se la mancanza che vogliamo riempire per il bilancio della difesa è lo 0,6 per cento del Pil dell’Ue, il fabbisogno finanziario sale a oltre due trilioni nei prossimi cinque anni». I leader affidano alla Commissione la stesura entro metà maggio di una analisi su come colmare questo «divario» e – dicono nella dichiarazione – «rafforzare la base tecnologica e industriale». Per maggio i leader prevedono anche un ulteriore summit.

In quel mese coincideranno alcuni passaggi significativi: questo venerdì, mentre a Versailles si riunivano i capi di stato, a Strasburgo durante un pranzo Manfred Weber, Iratxe García Pérez e Guy Verhofstadt – dunque popolari, socialisti e liberali – concordavano di chiedere con una risoluzione, proprio a inizio maggio, una convenzione. La convenzione è il preludio di una riforma dei trattati. L’idea sarà portata avanti in conclusione della Conferenza sul futuro dell’Europa, che è in corso. Con due paradossi: uno è che prima della guerra l’idea di una riforma strutturale faticava a passare, e la conferenza stessa era finita sotto traccia. L’altro è che stando alle raccomandazioni espresse dai cittadini nella conferenza viene fuori questo: «Ci raccomandiamo che una futura forza armata Ue sia usata per autodifesa».

Economia, energia e cibo

La primavera sarà anche il momento in cui definire gli ulteriori piani di indebitamento comune per i quali spingono Macron e Draghi. «Ora il momento non era maturo», ha detto il premier italiano. E il presidente francese: «Penso che sia una buona strategia condividere prima gli obiettivi; gli strumenti arriveranno». Il piano è concordare prima le priorità, su energia, difesa e sicurezza, per poi convenire che – per dirla con Draghi – «i bilanci nazionali non bastano».

Nell’immediato, i membri del G7 continuano ad allargare lo spettro delle contromisure verso Mosca, dalle penalizzazioni in sede di Wto e Fondo monetario, alle sanzioni contro gli oligarchi. L’Ue annuncia un ennesimo pacchetto, che comprende il blocco dell’export di prodotti di lusso per colpire l’élite russa e lo stop a nuovi investimenti europei nel settore energetico russo.

Intanto a Versailles si procede su rinnovabili e diversificazione delle forniture, per emanciparsi da Mosca; si pensa anche a ridisegnare il mercato dell’energia, il che era sui tavoli già prima della guerra visto il caro prezzi. Al summit si prende altro tempo. La Commissione relazionerà entro maggio su «come ottimizzare il design del mercato energetico», dice von der Leyen. Si tratta di evitare che gli alti prezzi del gas «contagino» anche i prezzi delle altre fonti di energia, come accade oggi.

Oltre alla sicurezza energetica i leader affrontano anche il tema della sicurezza alimentare; ma anche in questo caso, il momentum bellico diventa una finestra di opportunità per far passare piani per i quali le lobby spingono da tempo, come la deregolamentazione degli ogm e l’utilizzo di pesticidi. Draghi ha detto che la necessità di importare prodotti agroalimentari da Usa, Canada e Argentina fa «riconsiderare tutto l’apparato regolatorio» in virtù dell’emergenza; finora l’Ue ha sempre difeso il principio di precauzione, per salute e ambiente. «Siamo nel pieno di una battaglia delle lobby», dice Nina Holland, ricercatrice del Corporate europe observatory. Quella per deregolamentare gli ogm si è intensificata da mesi, «e anche sui pesticidi si usa l’argomento della guerra per spingere l’Ue a tradire la strategia “Farm to fork” per la sostenibilità ambientale».

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