I servizi segreti interni tedeschi hanno dichiarato AfD «gesichert rechtsextrem», di estrema destra in maniera certificata. L’espressione un po’ ridondante all’orecchio italiano significa che l’ente ha effettuato tutte le verifiche necessarie per inserire il partito al terzo livello di gravità concepito dal sistema dei servizi.

In realtà, il faldone da 1.100 pagine in cui il Bundesverfassungsschutz ha spiegato che l’ideologia etnico-identitaria di AfD – che distingue i «veri tedeschi» dai cittadini con radici migratorie, specie se di religione musulmana – viola i principi basilari della Costituzione sarebbe dovuto essere reso pubblico già a fine 2024, ma poi la fine del governo semaforo e la campagna elettorale hanno reso opportuno un rinvio a dopo le elezioni.

Non è la prima volta che l’intelligence interna rivolge la propria attenzione all’AfD: tra i circoli regionali già categorizzati come di estrema destra c’erano per esempio quelli di Sassonia, Sassonia-Anhalt e Turingia. Sotto osservazione quello del Baden-Württemberg.

Per Alice Weidel il giudizio sul partito federale non arriva inaspettato: «La decisione è un duro colpo per la democrazia tedesca», ha scritto in un comunicato congiunto con l’altro portavoce, Tino Chrupalla. «Si tratta di un intervento chiaramente motivato politicamente. AfD continuerà a difendersi per via giudiziaria da queste diffamazioni che mettono a repentaglio la democrazia», continua il testo. L’AfD aveva fatto appello anche contro i procedimenti nei confronti delle sezioni regionali, sempre senza successo: anche stavolta proverà a portare davanti alla giustizia amministrativa il pronunciamento dell’intelligence, che per ora non ha conseguenze dirette sull’attività del partito. Certo, il momento è delicato, e AfD fa leva sul fatto che il nuovo governo Merz sta per sostituire l’esecutivo uscente di Olaf Scholz, mentre ormai diversi sondaggi mostrano AfD primo partito nel paese. 

Un elemento a cui fa riferimento anche Matteo Salvini, che in un post si schiera subito al fianco di quelli che una volta erano suoi alleati in Europa: «GRAVISSIMO. Dopo Francia e Romania, un altro furto di democrazia? Solidarietà ad AfD e al popolo tedesco che, stando ai numeri, oggi li sceglierebbe come primo partito». Anche il segretario di Stato americano Marco Rubio ha detto che in Germania ci sarebbe una «tirannia mascherata»: in campagna elettorale, a dare manforte a Weidel era stato anche il multimiliardario vicino all’amministrazione Trump Elon Musk. L’imprenditore si è pronunciato in serata, spiegando che «Vietare l’AfD centrista, il partito più popolare in Germania, sarebbe un attacco durissimo sulla democrazia». Sulla stessa lunghezza d’onda l’ex premier russo Dimitri Medvedev, che ha criticato come i «partiti minori» evidentemente fossero infastiditi da chi nei sondaggi va meglio di loro. In realtà, ha spiegato la ministra dell’Interno uscente Nancy Faeser, non c’è stato nessun tipo di influenza politica sul giudizio dell’intelligence.

Il dibattito

In Germania, la notizia ha riaperto il dibattito sull’opportunità di vietare l’AfD. Già prima della fine dell’ultima legislatura un gruppo di deputati aveva lanciato – senza successo – la proposta, che poi il governo, il Bundestag o il Bundesrat devono approvare e presentare alla Corte costituzionale. Nella storia della repubblica federale, i divieti sono stati due. Altre due volte, l’iniziativa è fallita contro il partito Npd, non per mancanza di estremismo, ma per l’irrilevanza della formazione.

Il discorso è ben diverso per AfD, che nei sondaggi si muove intorno al 25 per cento, ma è significativo che per entrambi l’intelligence abbia tirato in ballo un atteggiamento ostile alla Costituzione. Un elemento fondamentale anche per quanto riguarda i finanziamenti pubblici, che per il partito di Weidel rappresentano il 45 per cento degli introiti: nel caso della Npd, infatti, i fondi furono tagliati proprio in virtù di questa classificazione, e non è da escludere che anche stavolta si valuti questa strada.

Ma, prima ancora di un eventuale divieto, i deputati dovranno decidere cosa fare al Bundestag: ci sono incarichi da assegnare in cui AfD vorrebbe avere voce. Mentre il cancelliere uscente Scholz raccomanda di non prendere decisioni affrettate su un possibile divieto, si alzano inviti ad accelerare i tempi anche dentro la Cdu. Tanti volti di prima fila, di cui molti governatori di Land, hanno chiesto che si proceda con la discussione di una proposta.

Solo pochi giorni fa, in realtà, il capogruppo in pectore e principale avversario interno di Merz Jens Spahn aveva proposto di non trattare l’AfD in maniera particolare per non concedere alibi al partito di estrema destra. Effettivamente, secondo i detrattori, anche un divieto rischierebbe di assecondare la narrazione vittimistica del partito di Weidel. La posizione di Spahn ha però provocato polemiche interne ed esterne al partito, da cui l’ex ministro della Salute si è anche dovuto difendere assicurando di non aver avuto in mente una “normalizzazione”. Ieri, dopo la diffusione della notizia i vertici della Cdu si sono limitati a ribadire che non ci sarà collaborazione con AfD (che però in inverno aveva avuto luogo). Certo, il cancelliere in pectore Merz non si è sentito.

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