«Sa perché sono un fervente cattolico?», diceva vent’anni fa, in tempi ancora non così sospetti, Vincent Bolloré. «Quel che mi piace tanto di questa religione è che si può sperare di essere perdonati». Ma che cos’avrà mai da farsi perdonare questo magnate francese? Lasciamo perdere gli epiteti che si è guadagnato: in Italia «lo scalatore», in Francia «l’ogre, l’orco», un po’ ovunque «smiling killer, il killer che sorride». I fatti dicono che c’è lui dietro una scalata piuttosto recente, quella di Éric Zemmour da polemista a populista. Questa è una storia fatta di intrecci: interessi economici, potere mediatico, elezioni presidenziali.

Scalare i media e l’Eliseo

In vista del voto francese di aprile, Éric Zemmour organizza la creazione di un suo partito, che si chiamerà Vox Populi. L’annuncio della candidatura stessa avverrà con ogni probabilità l’11 novembre. «E tutto questo noi ve lo stiamo annunciando in anticipo. Siamo noi che vi diamo tutte le indiscrezioni», dicono da Europe 1. Non è una emittente qualunque: da quando Vincent Bolloré è diventato il principale azionista del gruppo Lagardère, la radio è sotto la sua influenza. I giornalisti hanno protestato, alcuni hanno lasciato, l’estate di Europe 1 è stata convulsa di proteste e scioperi. Il tycoon già controlla un colosso dei media, Vivendi, e da un anno – o meglio, con un sagace anticipo di due anni sul voto presidenziale – ha cominciato la presa di Lagardère. Ad aprile 2020 aveva meno dell’11 per cento, è diventato il 27, e poi proprio questo autunno è arrivato l’accordo con Amber Capital per prendersi pure il suo 18 per cento. «Smiling killer», per l’appunto. Ma perché mettersi a scalare Lagardère? Perché di quel gruppo fanno parte non solo la radio parigina, ma pure i settimanali Paris Match e Le Journal du Dimanche, le cui pagine sono il punto di ritrovo della politica e del business. L’establishment ci finisce, su quelle pagine, e soprattutto le legge.

Creare un fenomeno

Zemmour stesso è in qualche modo una creatura di Bolloré. Non che non fosse già noto in Francia: lo è, da decenni, e da altrettanto tempo getta scandalo. Nel 1996 i suoi scritti e opinioni trovano casa a Le Figaro, ci sono i libri, la tv. Lo spazio pubblico è frequentato dalle sue tesi misogine sulla «femminilizzazione della società», da quelle xenofobe e islamofobe sul grand remplacement che sarebbe il «gran rimpiazzo: nel 2050 il nostro paese sarà per metà islamico», e giù con tutto il corollario, sulla imminente «guerra civile», «sanguinolenta» per non farsi mancar niente. Ma a garantire al polemista appuntamenti fissi con il pubblico, e soprattutto le spalle coperte quando le sue parole erano violente, c’è stato Bolloré, finché ha potuto; e ora che non può, con altri mezzi.

Coperture mediatiche

La rete CNews ha origini nel lontano 1999, quando si chiamava i-Télé. Ma la sua mutazione verso la «Fox News di Francia» risale al 2016, quando sempre lui – Bolloré – acquisisce il gruppo Canal + e di conseguenza quella tv. Che diventa il giocattolo catodico per prestigiatori dell’estrema destra, per primo Zemmour. Dal lunedì al giovedì, all’ora in cui i francesi tornano dal lavoro e stanno per mettersi a tavola, si ritrovano la sua faccia – e le sue idee ultrà – nel programma Face à l'info. L’era Bolloré gli garantisce spazio per le sue arringhe, lo ospita e – con le spalle coperte dal magnate – per lui rischia condanne per istigazione all’odio, o persino di chiudere i battenti. Appena un anno fa, la rete ha dovuto pagare 200mila euro per un’uscita di Zemmour, ritenuta dall’authority dell’audiovisivo un incitamento all’odio e alla discriminazione. Cosa ne riceve in cambio? I socialisti francesi come Benoît Hamon accusano da tempo il capitano d’industria di «tessere la tela dell’estrema destra». Certo è che CNews contribuisce alla polarizzazione, e persino alla hystérisation, all’isterizzazione del dibattito pubblico francese. «Il centro non vince più, bisogna radicalizzarsi», come disse lo stesso Zemmour a Le Pen, ora rivale d’Eliseo. Nell’ultimo biennio l’audience di CNews cresce al punto che tallona BFM TV, e per la prima volta a maggio riesce pure a superarla. Uno dei motivi per cui Zemmour ha aspettato, prima di annunciare la sua candidatura, era proprio quello di prendersi tutto lo spazio possibile, e finché gli era possibile. Mentre con Le Figaro i rapporti si erano già sciolti, per scollare l’opinionista con ambizioni presidenziali dalle telecamere ci è voluto l’intervento del Conseil supérieur de l’audiovisuel, la authority dell’audiovisivo di Francia. «Visti i recenti sviluppi, d’ora in poi Zemmour, le sue prese di posizione, le sue azioni, vanno considerate a tutti gli effetti come quelle di un attore del dibattito politico nazionale», ha sentenziato il Csa. Perciò a metà settembre CNews ha dovuto prenderne atto.

Populisti all’arrembaggio

Zemmour non ha più la ribalta serale garantita, ma Bolloré garantisce comunque copertura a lui e alle sue idee. Qualche esempio. Ieri Marine Le Pen era a Budapest, a incontrare Viktor Orbán. Il premier ungherese, e i suoi ministri, hanno già incontrato Zemmour e hanno rapporti stretti con il suo staff. Se la leader del Rassemblement National si è precipitata da Orbán è anche per contenere i danni della competizione a destra da parte di Zemmour, sostenuto a sua volta da Marion Maréchal. «Retroscena della visita tra Le Pen e Orbán», dice Louis de Raguenel: «Le Pen ha acceso un cero per la Francia nella basilica di Budapest. Simbolico, no?». Chi è questo de Raguenel che stronca così Marine? Manco a dirlo, è un pupillo di Bolloré. Sovrintende la redazione politica di Europe 1. Questo in radio. In tv, a CNews, i volti noti come Sonia Mabrouk sono pronti a ricordare agli ospiti che «lei nega il problema dell’immigrazione, vuol forse dire che non c’è un problema con l’Islam?». Mabrouk, detta anche la reginetta della «droitosphère», cioè della galassia all’estrema destra.

Metodo Bolloré

Il bilancio dei media guidati da Bolloré è fatto di ingressi, certo, ma pure di uscite. O meglio, di fughe. Come quella di Christine Berrou, scappata da Europe 1 perché le era stato chiesto di ripulire la sua rubrica da riferimenti negativi a Zemmour. Se Hapsatou Sy ad agosto ha abbandonato il gruppo Canal + è perché si era orientato a favore di Zemmour oltre a ospitarne «le idee estreme»; lei, che lo ha pure trascinato in tribunale per «insulti razzisti», non ha lasciato passare la deriva Bolloré. Il capitano d’industria è accusato da molti giornalisti che hanno lavorato per lui di «usare metodi brutali» e di essere «una minaccia alla libertà di stampa e pure per la democrazia»: queste sono per esempio le testimonianze di una dozzina di loro, raccolte da Reporters sans frontières nel documentario «Le Système B», il sistema Bolloré.

Sarkozy e il mal d’Africa

Certo, il partito di Zemmour si chiamerà pure Vox Populi, ma il populista dell’estrema destra predilige le cene e gli incontri con l’élite finanziaria. Il sostegno di Bolloré è l’esempio più eclatante del sostegno tra l’establishment francese. Per la verità Vincent Bolloré ha sempre garantito supporto ai politici, e a sua volta ne ha ricevuto. I parigini ricordano ancora bene il modo in cui nel 2007 Nicolas Sarkozy festeggiò la sua vittoria presidenziale: con una mini-crociera di tre giorni al largo di Malta, a bordo di Paloma, lo yacht di sessanta metri di Bolloré. Un’amicizia che il magnate prova a sfruttare in quello stesso anno per ottenere la concessione del porto di Dakar. Tra le tracce decennali della sua rapacità ci sono appunto la battaglia per i porti africani, così come la capacità di Bolloré di carpire aiuti e contratti pubblici, concessioni di infrastrutture strategiche, e l’abilità nello sfruttare le privatizzazioni imposte a quel continente dalle istituzioni finanziarie. A Vincent Bolloré il mercato africano piace, e se anche avrà ragione Le Monde quando dice che «secondo le indiscrezioni che abbiamo, Morgan Stanley sta sondando se ci sono compratori per Bolloré Africa Logistics», una cosa è certa. Le parole di Zemmour, per il quale «i maghrebini sono tra i pericoli di Francia», sono solo la facciata. L’impalcatura è imprenditoria pura.

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