La Corte di giustizia europea ha già detto a chiare lettere tre anni fa che gli ogm di nuova generazione – il genome editing, “Crispr” – non possono sfuggire agli obblighi di valutazione del rischio e di trasparenza verso il consumatore. Con una sentenza del 2018, la Corte ha chiarito che i nuovi ogm sono comunque ogm, e che devono rispettare le stesse regole. Ma le pressioni nella direzione opposta sono state così incalzanti che l’esecutivo europeo, in sintonia con i governi, si prepara da tempo a deregolamentare o comunque ad alleggerire le regole per i “nuovi ogm”. Adesso questi preparativi sono nero su bianco, dentro le 117 pagine dello studio reso pubblico il 29 aprile dalla Commissione europea.

Bruxelles verso meno tutele

Due anni fa, quando ancora questo studio non era stato neppure avviato, l’allora commissario all’Agricoltura Phil Hogan dava per assodato che «la direzione generale Salute della Commissione ha già preparato il terreno per scavalcare l’attuale legislazione sugli ogm e produrne una nuova sul gene editing»; lo si scopre da un testo preparatorio a un incontro con una lobby avvenuto nel 2019. L’anno dopo la sentenza della Corte, insomma, il terreno per la deregulation – parole di Hogan –  era «già pronto». Eredità che Jean-Claude Juncker ha lasciato a Ursula von der Leyen.

I governi, ovvero il Consiglio europeo, hanno chiesto a Bruxelles di produrre questo studio; il dossier considera lo status giuridico delle nuove tecnologie, i punti di vista dei paesi membri e quelli dei portatori di interesse. Per arrivare alle 117 pagine appena pubblicate, lo scorso febbraio Bruxelles ha avviato la sua consultazione; tra le oltre novanta organizzazioni invitate a partecipare, più del 70 per cento rappresentavano gli interessi dell’agroindustria, meno di 12 erano ong. Adesso la Commissione rende pubbliche le sue conclusioni: «Ci sono forti indicazioni che le regole attuali non si adattano bene ad alcune tecnologie di editing genetico e ai prodotti derivanti da esse. Perciò le norme europee vanno adattate al progresso scientifico e tecnologico».

Valutazione dei rischi

Che cosa dicono le regole attuali? Una direttiva europea da vent’anni tutela la salute e vigila sui «rischi dell’immissione nell’ambiente di organismi geneticamente modificati». L’ingresso di ogm, nell’ambiente e nel mercato, non deve prescindere dall’attenta valutazione del rischio: un ogm va autorizzato, tracciato, segnalato in etichetta. La prudenza europea, maggiore rispetto agli Usa, è ribadita in almeno 50 voti dell’Europarlamento; uno di quelli più recenti risale all’11 marzo: è un no all’importazione di mais e cotone ogm. 

Bruxelles invoca ora norme «adattate al progresso», e si rivolge ai governi con una lettera alla presidenza di turno portoghese; nella lettera scrive che «come concluso dall’Efsa, questi prodotti presentano un profilo di rischio simile a quello delle convenzionali tecniche di riproduzione, con mutagenesi e cisgenesi; dunque un approccio più duro non è giustificato». L’iter di valutazione del rischio «della legislazione attuale è rigido», limita «il progresso».

Le conclusioni della Commissione sono agli antipodi rispetto a quelle degli ambientalisti, e preoccupano il mondo dell’agricoltura biologica. Perché? C’è un contro-studio appena pubblicato da Greenpeace, che sintetizza i rischi, e che si può leggere per intero a questo link. Tra gli effetti collaterali della introduzione di queste tecnologie non va considerato solo l’impatto sulla salute e sull’ambiente ma anche la pericolosa dipendenza da poche multinazionali. «Gli ogm generano ampi guadagni per le aziende che li sviluppano e commercializzano, nonostante i “danni collaterali” che causano e, anzi, sfruttando anche questi per trarre maggior profitto», dice Greenpeace. «Poche multinazionali tengono di fatto gli agricoltori ostaggio di una tecnologia che ha già dimostrato di essere fallimentare. Nei paesi in cui vengono regolarmente coltivati ogm, le aziende agrochimiche non solo dettano le scelte degli agricoltori, ma riescono anche a influenzare le politiche governative».

Le pressioni delle lobby

Un dossier dei Verdi europei sul gene editing mostra proprio che queste tecnologie di ultima generazione sono in mano alle stesse multinazionali che già dominano il mercato agrochimico e ogm. Particolarmente attiva sui “Crispr” c’è Corteva, ma anche Bayer-Monsanto, Basf e Syngenta. Il rischio, per i Verdi, è che la concentrazione di mercato aumenti: un prodotto biotech è soggetto a brevetto e il controllo del ventaglio di tecnologie è in mano a poche corporation. Come abbiamo già raccontato su Domani, centinaia di documenti mostrano il tentativo sempre più imponente di pressione sull’Europa perché deregolamenti gli ogm.

Il Corporate Europe Observatory ha raccolto tutte le tracce dell’attività lobbistica; tracce che aumentano per intensità e quantità a partire dalla sentenza della Corte del 2018. Questi “Crispr Files” messi insieme da Ceo hanno portato alla luce le pressioni di Usa, Canada, e soggetti non governativi che vanno da Bill Gates alle multinazionali dell’agroindustria, per la deregulation degli ogm. Il principale argomento usato da chi invoca questa deregolamentazione è che le nuove tecnologie sono diverse dai “vecchi ogm” e che aiuteranno l’ambiente. «Adesso nel suo studio la Commissione parla con lo stesso linguaggio e ribadisce gli stessi argomenti che avevamo rintracciato nei documenti delle lobby», dice Nina Holland, la ricercatrice di Ceo che si dedica da anni questo tema. «Come mai quando leggo il dossier di Bruxelles mi pare di rileggere le argomentazioni dell’industria?». Forse, conclude Holland, «bisognerebbe che le istituzioni europee ascoltassero di più la società civile, gli scienziati indipendenti, le organizzazioni per la difesa dei consumatori e le ong».

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