La Spagna è già insorta, dice che «non ci stiamo a imporre questi sacrifici ai nostri cittadini». Altri governi, invece, di nascosto avranno tirato un sospiro di sollievo quando questo mercoledì Bruxelles ha ufficializzato il suo «piano per l’inverno», visto che carica su di sé la responsabilità di imporre la austerità energetica. La Commissione Ue spinge un regolamento che – saltando ogni coinvolgimento sostanziale degli eletti dell’Europarlamento e con un voto favorevole dei governi chiamati a discutere la prossima settimana – le dà il potere di dichiarare la «allerta europea». Se non ci pensiamo da soli, interverrà l’Ue, per imporci di stringere la cinghia, e non i nostri governi. Il commissario al mercato interno Thierry Breton, portato a Bruxelles da Emmanuel Macron, ha usato proprio la stessa parola battezzata dal presidente francese pochi giorni fa: «Sobriété», sobrietà. E cioè: austerità. Adesso i partiti politici potranno lamentare che «ce lo chiede l’Europa», come infatti la Lega all’Europarlamento ha cominciato a fare un secondo dopo l’annuncio di Ursula von der Leyen, scagliandosi contro. Rispetto alla bozza filtrata una settimana fa, è proprio questa la principale novità: la Commissione europea non si limita a caldeggiare, ma vuole imporre la austerity. C’è qualcosa che invece non cambia ed è la perdurante sordità dell’esecutivo Ue a iniziative come la riforma del mercato elettrico e il tetto ai prezzi delle importazioni di gas; i riverberi dell’immobilismo di Bruxelles si sentono anche a Roma, visto che nelle stesse ore Mario Draghi in aula dice che «dobbiamo continuare a batterci per ottenere un tetto al prezzo del gas russo e per la riforma del mercato elettrico». È la prova che si tratta appunto di una lotta, e dura da prima della guerra. L’unico segnale di ascolto da parte dell’Ue va colto sul versante climatico, ma è solo parziale. Quando la bozza del piano d’inverno è filtrata, l’idea che un’impresa potesse ricevere finanziamenti pubblici passando dal gas al carbone, mentre le amministrazioni pubbliche spegnevano le luci per risparmiare, ha fatto scandalo. Perciò i documenti nella versione finale addolciscono la faccenda con tanti riferimenti alle energie pulite. Nella sostanza, però, il rischio di una retromarcia climatica resta.

L’allerta e gli obblighi Ue

Fino a qualche tempo fa, la presidente della Commissione europea ci rassicurava sul fatto che avremmo potuto gestire l’inverno in arrivo. Ora ci prepara invece a uno scenario di crisi. «Una dozzina di paesi Ue è colpita dal taglio totale o parziale delle forniture, la Russia ci ricatta e dobbiamo essere pronti anche allo stop totale. Abbiamo accumulato riserve e gli stoccaggi al momento sono al 64 per cento, ma bisogna prevenire le difficoltà». Bruxelles propone una «Council regulation» invocando l’articolo 122: significa che in nome di una situazione di emergenza le nuove regole di Bruxelles possono essere sdoganate senza che il Parlamento Ue possa mettervi mano; sono i governi a dare l’ok in Consiglio, e poi gli eurodeputati vengono informati del fatto compiuto. Il fatto, e cioè la decisione per come la disegna Bruxelles, è la possibilità di imporre un taglio dei consumi di gas. Con il regolamento, la Commissione dà agli stati membri un obiettivo comune, che è la riduzione dei consumi di gas del 15 per cento (la base di calcolo è la media della domanda di gas degli ultimi cinque anni) nel periodo che va dal 1 agosto al 31 marzo. Bruxelles vuole anche avocare a sé la possibilità di dichiarare la «Union alert», l’allerta europea: implica che il taglio del 15 per cento non è più opzionale; diventa obbligatorio. Quando scatta l’allerta? «Quando c’è un rischio sostanziale di una severa scarsità di gas, o una domanda troppo alta». A quel punto Bruxelles verifica che gli stati agiscano di conseguenza, chiede conto delle misure intraprese, che devono essere «basate sul mercato». I paesi che vogliano avvalersi della solidarietà degli altri per le forniture, dovranno prima dimostrare di aver fatto quanto chiesto da Bruxelles per ridurre la propria domanda interna.

Prezzi e profitti

«La Russia già da tempo aveva intenzionalmente tenuto le forniture basse e i prezzi hanno iniziato a lievitare già mesi prima della guerra». Con queste parole von der Leyen non fa che confermare che il problema dei prezzi esorbitanti è chiaro da lungo tempo. Se Putin ci taglia le forniture è anche perché, senza freni ai prezzi, più si riduce l’offerta più lievitano. Eppure Bruxelles, in sintonia con le titubanze di alcuni governi, continua a non intervenire sulla determinazione dei prezzi. Avrebbe potuto riformare il mercato dell’elettricità – per come è strutturato oggi, il prezzo più alto del gas “contagia” quello di altre fonti più economiche – e imporre un tetto ai prezzi delle importazioni, una proposta-bandiera del governo Draghi rimasta arenata per mesi. Se ne riparlerà in autunno, e non è detto che ne esca una decisione. Tra le famiglie politiche europee, la sinistra all’Europarlamento, seguita in questo anche dai socialdemocratici, chiede a von der Leyen come mai per «prepararsi all’inverno» continui a non imporre una tassa sugli extraprofitti.

Le imprese e i fossili

Non è l’unico favore che Bruxelles fa alle imprese, la cui tutela è la priorità del piano. Mentre la Commissione disegna tagli dei consumi per le amministrazioni pubbliche e «campagne di sensibilizzazione» per i cittadini, i governi potranno compensare economicamente le aziende che riducono il consumo di gas. «Ma vi pare bello che una famiglia economicamente vulnerabile si debba destreggiare con le bollette stratosferiche mentre intanto un’impresa che passa dal gas al carbone riceve un sussidio pubblico?», dice l'eurodeputata di sinistra Sira Rego. L’ultima versione del piano Ue sottolinea che è importante tentare prima con le energie pulite, ma anche se la pillola è stata addolcita, resta la possibilità che in nome dell’emergenza si ricorra a fonti inquinanti. «Anche il testo finale consente di assegnare aiuti di stato se si passa a petrolio e carbone», conferma Thomas Gelin di Greenpeace.

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