Christiane Taubira, ex ministra della Giustizia del governo socialista di François Hollande, venerdì scorso con un tweet inatteso, molto recitato e seduttivo ma di tono austero, ha comunicato ai francesi che sta «considerando» di candidarsi alla presidenza della Repubblica per rimediare l’impasse della sinistra, ma che non intende essere «una candidata di più».

La decisione, benché solo accennata e non ancora dichiarata (alla fine del suo discorso ha dato appuntamento a metà gennaio), si aggiunge alla già troppo lunga lista dei candidati di sinistra e di destra.

Frantumazione a sinistra

A sinistra, Anne Hidalgo, sindaca socialista di Parigi, sostenuta tiepidamente dal partito e con sondaggi poco incoraggianti; più a sinistra Yannick Jadot, principale esponente degli ecologisti; all’ala estrema, l’instancabile Jean-Luc Mélenchon, capo di France Insoumise, già candidato nel 2017; più altre figure minori senza troppe speranze.

Un panorama evidentemente frantumato e abbastanza litigioso. Per evitare di «fa disperare i francesi», Hidalgo ha proposto di procedere con le elezioni primarie, in modo che che la sinistra possa presentarsi con un solo candidato e non cinque. Ma nessuno dei suoi colleghi ha accettato.

Allo stesso modo, nessuno dei candidati sul tavolo ha espresso il minimo interesse per il fatto che sulla scena sia comparsa Christiane Taubira. Per il momento, in realtà, è anche difficile capirne il senso: serve a favorire l’uscita di Hidalgo, a cui i sondaggi promettono poco successo? O a spingere il gruppo di sinistra a esprimere un solo candidato? Taubira ha detto, un po’ cripticamente, che si candida per risolvere l’impasse della sinistra, ma molti temono che, al contrario, aggiungerà confusione a un quadro già intricato.

Infatti, non solo si allunga la lista dei pretendenti, ma mette in tavola altre carte, non tutte seducenti per i cittadini di un paese protagonista negli ultimi anni di ogni sorta di calamità. Taubira proviene dalla Guyana, dipartimento d’Oltremare da mesi in grave agitazione per il dilagare della povertà e del contagio di Covid. Durante il suo discorso ha parlato di una coesione sociale «senza esclusiva né esclusione». Probabilmente una posizione di apertura nei confronti dell’immigrazione e dell’Islam, le due bestie nere della destra. 

L’era Macron

Anche dall’altro lato le candidature sono numerose e intricate. C’è naturalmente quella di Emmanuel Macron, che è forse, a partire dal Sessantotto, il presidente su cui si è abbattuto il maggior numero di eventi esterni che avrebbero potuto stroncarlo. Il suo quinquennio cominciò nel 2017 con le furibonde manifestazioni dei Gilets jaunes, il movimento dei gilet gialli, che partendo da una protesta per l’aumento delle imposte sui carburanti, mise in subbuglio per quasi due anni l’intero paese. 

A questo si saldò la feroce opposizione di piazza relativa alla proposta di riforma delle pensioni, per mesi la Francia intera venne bloccata portando sull’orlo della rovina un’infinità di attività economiche e commerciali, private e pubbliche, a partire dalla società delle ferrovie, Sncf.

Il resto è non meno grave: il terrorismo, le catastrofi naturali nel sud del paese, e, negli ultimi due anni, il Covid, per non parlare della repentina perdita dell’enorme fornitura di sommergibili nucleari all’Australia, dovuta alla nascita di Aukus, il patto militare tra Australia, Stati Uniti e Regno Unito.

Quasi nessuna di queste emergenze è stata gestita al meglio da Macron. Gli inciampi hanno contribuito a spingere nell’ombra alcune iniziative interessati e strategiche messe in capo dal presidente uscente: il consolidamento del rapporto con la Germania, il “Grande dibattito” nazionale seguito alle agitazioni dei Gilets jaunes, il tentativo di trasformare in cooperazione il rapporto di mal dissimulato colonialismo che la Francia ha da sempre avuto con l’Africa centrale, la promessa di norme per governare il fenomeno del separatismo (cioè il comunitarismo degli immigrati islamici, in Francia circa un decimo della popolazione), la coraggiosa determinazione di contrastare la cinesizzazione dell’Europa.

Terre remotissime

Un altro guaio caduto sulla sua testa di Macron, diventato cronico durante il suo mandato, è la turbolenza che vive il dipartimento d’Oltremare, cioè la miriade di frammenti, isole, e arcipelaghi remotissimi, traccia indelebile dell’imperialismo globale dei secoli d’oro. Dalla Martinica e la Guyana sull’Atlantico all’isola della Riunione e l’arcipelago di Mayotte nell’Oceano Indiano, da Tahiti alla Nuova Caledonia nel Pacifico estremo, tutti in difficoltà economiche e sanitarie.

Alcuni di questi territori rivendicano o covano propositi di indipendenza, del tutto indifferenti al fatto che le richieste potrebbe essere per fatali per gli stessi territori, se non altro dal punto di vista economico.

La questione dell’indipendenza delle isole del Pacifico è però una grossa grana anche per la metropoli. Le terre d’Oltremare, in particolare quelle del Pacifico, rientrano nell’area geopolitica su cui la Cina proietta le sue mire sempre più esplicite.

La Nuova Caledonia ha tenuto nelle settimane scorse il suo terzo referendum sull’indipendenza, ma è fallito per iniziativa degli stessi indipendentisti, preoccupati proprio dall’ombra che la Cina sta stendendo sull’arcipelago. Non è affatto escluso che Taubira, che è guyanese e di colore, non sfoderi l’argomento della discriminazione dei territori d’Oltremare durante la compagna elettorale. Ha già dato qualche segnale in questo senso mesi fa, quando ha rifiutato di richiamare i guyanesi a sottoporsi alla vaccinazione anti Covid. In ogni caso, la voce dei dipartimenti d’Oltremare potrebbe cominciare a farsi sentire attraverso la stessa candidata creando una nuova variabile nel panorama elettivo.

Tutto a destra

Il côté più a destra è fitto e, nell’insieme, piuttosto preoccupante, non solo per Macron ma per l’intero paese. Marine Le Pen è stata scavalcata a destra dall’inattesa candidatura e dall’enorme successo di Éric Zemmour, giornalista di estrema destra, anti islamico, estimatore (in parte) della Francia di Vichy e nazionalista arrabbiato e sprezzante.

Le Pen ha risposto attenuando la sua posizione allo scopo di pescare voti nel gran mare dei moderati. Ma per Macron stavolta non sembra essere lei la minaccia più grossa, bensì Valérie Pécresse, la gollista vincitrice delle primarie del partito Les Républicains, ex ministra di Nicolas Sarkozy e attuale presidente dell’Île-de-France, che si appella allo stesso elettorato liberale e moderato.

Salita repentinamente in cima ai sondaggi, alla pari col presidente, ha avviato una frenetica campagna elettorale con toni di inusitata durezza. Accusa Macron di essere reticente, gigione, inconcludente. «L’ossessione di Macron è piacere, la mia ossessione è batterlo», ha detto nella prima manifestazione della campagna.

Il suo obiettivo è di «rafforzare tre funzioni essenziali dello Stato: educare, proteggere e curare». Ma, passando alle cose concrete, ha annunciato che ridurrà il numero dei dipendenti pubblici (invisi in Francia non meno che in Italia) e taglierà le pensioni, con più di una strizzata d’occhio all’elettorato di Marine Le Pen. Ha proposto di stabilire quote per l’immigrazione e pene più pesanti per i delitti commessi nei quartieri sensibili. «Ha la febbrilità come motore e l’ipocrisia come carburante», ha dichiarato il portavoce di Macron.

Cercansi moderati

Ma non meno febbrile è la campagna del presidente, che sfrutta ogni occasione per attirare l’elettorato moderato. Dopo aver celebrato l’ingresso al Panthéon della ballerina, cantante e attrice franco-americana Joséphine Baker, Macron ha pronunciato al parlamento europeo un discorso in omaggio all’ex presidente Valéry Giscard d’Estaing, tutte operazioni dirette - come ha scritto Le Monde – a «prosciugare l’elettorato di Les Républicains».

Macron sa che la posta in gioco è grossa e il rischio è altissimo. Un sondaggio pubblicato dal quotidiano francese il 18 dicembre scorso lo dà come favorito al primo turno, ma Pécresse lo tallona da vicino, seguita da Le Pen e Zemmour alla pari. La comparsa di Taubira scompiglierà necessariamente questo già complicato puzzle e nessuno sa come lo si potrà ricomporre.

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