Così von der Leyen controlla gli aumenti di spesa Nato (e potrà riferire a Trump)

Gli era stato già promesso: «Caro Donald, tutti hanno firmato per il 5 per cento in spesa militare, l’Europa pagherà MOLTO caro e sarà una tua vittoria», aveva scritto Mark Rutte, il segretario generale della Nato, al presidente Usa nei giorni cruciali del summit di giugno all’Aia. Ora arriva «il mega piano per la consegna», come lo stesso commissario Ue alla Difesa Andrius Kubilius ha ribattezzato il documento presentato questo giovedì. È la «Defence Readiness Roadmap 2030», chiesta dai governi alla Commissione a giugno, proprio durante il Consiglio europeo successivo al vertice Nato. Come ha ripercorso ieri l’alta rappresentante Ue Kaja Kallas, «i leader hanno chiesto a me e a Ursula von der Leyen di avere un percorso chiaro e un altrettanto chiaro sistema di monitoraggio per raggiungere gli obiettivi, anche per la Nato». Stavolta von der Leyen ha usato qualche cautela in più nel mascherare l’operazione: per lasciare agli Stati la convinzione di restare sovrani nella difesa, l’accentratrice presidente ha delegato alla squadra il lancio dell’iniziativa. E soprattutto, dopo che alcuni governi a cominciare da quello Meloni avevano sollevato imbarazzi per il nome esplicito del piano di «ReArm», stavolta c’è il nuovo slogan «prontezza» (Readiness) a cui viene aggiunto il preambolo: «Preserving Peace». Il piano di von der Leyen per un riarmo da 800 miliardi non è difesa comune Corridoio militare Pure il falco Kallas insiste su questo: «Si tratta di un piano per preservare la pace». E ci si mette anche il cancelliere tedesco, rivolgendosi al Bundestag quasi in simultanea: «Solo con un rafforzamento della forza militare in Europa, essa potrà essere una forza di pace». Nel frattempo Henna Virkkunen, una dei vicepresidenti di Commissione, tratteggia il futuro prossimo: «Avremo un’area armonizzata», cioè interoperabile tra un paese Ue e l’altro, «con corridoi perché le truppe possano muoversi rapidamente, for the battlefields of tomorrow, per i campi di battaglia del domani». L’Unione cresciuta sul mercato comune e la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone, si trasforma – nella «roadmap» – in un’Ue del «corridoio militare comune». Quello spazio Schengen del libero movimento, messo oggi a dura prova dalla retorica anti migranti dei governi, si fluidifica però in nome della agevole circolazione del carrarmato. Ricordando anche in questo gli impegni presi con Trump e con la Nato: quel 5 per cento del Pil in difesa è stato accordato scomponendolo, l’1,5 copre le infrastrutture e il 3,5 punta sui nuovi obiettivi di capacità militare (difesa aerea, jet, droni e molto altro). «Caro Donald, l’Ue pagherà alla grande». La figuraccia globale del segretario Nato Coalizioni d’impresa Ovviamente anche per questa fetta più ingombrante la roadmap sciorina iniziative. Dopo la verifica negoziale svolta coi leader in via informale a Copenaghen, sono riformulati così i progetti «bandiera» (flagship) proposti in nome della loro «natura paneuropea»: la European Drone Defence Initiative traduce in forma più estesa lo slogan del «muro di droni»; è fatta anche per integrare la base industriale europea con quella ucraina. «Siamo state a Kiev lunedì per visitare le fabbriche di droni ed è incredibile quel che fanno, dobbiamo usare la loro esperienza e innovazione» (Kallas dixit). Come a ribadire l’attenzione anche al fianco sud dell’Ue, che rimbrottava per il focus a est, questo giovedì von der Leyen ha rilanciato il “Piano per il Mediterraneo”. Oltre ai droni, ci sono l’Eastern Flank Watch (monitoraggio del fianco est), lo European Air Shield (scudo aereo europeo) e lo European Space Shield (scudo spaziale). Non c’è una difesa comune, nel senso che sta agli Stati la parola finale sulla propria partecipazione; schema ancor più evidente nelle cosiddette “capability coalitions” (coalizioni per l’acquisizione di capacità, che evocano gli obiettivi Nato). Partecipa chi vuole, ma i funzionari della Commissione che seguono il dossier dicono che molti gruppi sono già avviati, alcuni con una decina di stati, altri addirittura una ventina. Ogni coalizione ha uno stato-guida, o due, o persino tre. «Se lasci tutti questi processi al solo livello nazionale rischi di non avere un risultato efficiente, né prodotti interoperabili; si accumulano ritardi. Così invece si identifica anche cosa manca», spiegano a Bruxelles. Tuttavia l’aspetto strategico resta ancorato all’Alleanza atlantica, dunque coordinato con gli Usa; lo ribadisce anche Kallas quando dice che «i progetti bandiera servono per aiutare gli stati a raggiungere gli obiettivi Nato, non per creare una struttura operativa. Quello sta alla Nato. La roadmap «assicura che si proceda alla giusta velocità». Armi, tech, clima: nel patto sui dazi, l’Ue dà in pegno il futuro a Trump. Beffata Meloni Monitorare la spesa Il punto chiave del «piano di delivery» sta nell’inedito monitoraggio che Bruxelles farà, e che guarda caso la Commissione ha predisposto anche sul versante energetico. Quando Trump ha esibito come un trofeo scozzese l’acquisto di energia e armi da parte dell’Ue, durante i negoziati sui dazi, in coro è stato fatto notare che la Commissione non può imporre ad aziende e governi questi acquisti, e non è detto che possa controllarli. Ma, sotto coperta, questi sistemi vengono introdotti. Nell’ambito dell’emancipazione dalle fonti russe (che ieri l’Europarlamento ha chiesto con un voto), la Commissione von der Leyen vuole monitorare gli acquisti di energia. La roadmap introduce il monitoraggio anche sul fronte armi: «La Commissione e l’alta rappresentante presenteranno al Consiglio europeo, a ottobre di ogni anni, un Annual Defence Readiness Report che si focalizzerà sulla situazione riguardo alle priorità di capacità concordate». Intanto Kubilius dà i numeri: calcola che nel complesso, con investimenti privati e nazionali, «gli europei mobiliteranno per la difesa, da qui al 2035, 6.800 miliardi». Certo, i soldi per ora li mettono i governi, ma «vedremo come reindirizzare i fondi non spesi di Next Generation Eu», si potranno «riallocare i fondi per la coesione» (nati per ridurre i divari), tutto ciò in attesa del prossimo budget settennale: lì von der Leyen ha infilato, oltre ai soldi per la difesa, una leva micidiale. Ogni governo, per ottenere la sua busta di soldi, dovrà impegnarsi su determinati obiettivi… Kata Tüttő: «Il bilancio di von der Leyen uccide l’Ue. Sacrifica i territori e spalleggia i nazionalisti»