L’ultimo sogno delle multinazionali è quello di farsi giustizia da sole, e Bruxelles intende anche realizzarlo. Lettere, incontri, sollecitazioni, messaggi accorati o minacciosi, sono stati rivolti alla Commissione europea dalle lobby delle grandi aziende da almeno tre anni, con un unico scopo: creare un sistema giudiziario parallelo, sottrarre potere ai governi e indirizzarlo a favore degli investimenti privati. Il piano, e tutti i documenti che permettono di ricostruirlo, verrà portato all’attenzione pubblica oggi grazie al lavoro del Corporate Europe Observatory. Abbiamo letto in anteprima il dossier, che si chiama “Conquering EU Courts?”. È solo un tassello: le lobby delle corporation non lavorano solo ai loro tribunali paralleli. Abbiamo già raccontato su Domani che stanno anche minando gli sforzi europei per garantire i diritti di ambiente e lavoratori.

La legge delle corporation

Per capire cosa sta succedendo bisogna partire da un acronimo, “Isds”, che sta per “Investor-state dispute settlement”. Si tratta di tribunali allestiti allo scopo di proteggere gli investimenti, e attraverso i quali le aziende possono fare causa ai governi. Questo tipo di istituto nasce al seguito di accordi bilaterali sugli investimenti o di trattati per il libero scambio, come è successo con l’accordo nordamericano Nafta; il sistema consente a chi investe di far causa a un governo, se ritiene che i propri investimenti siano appunto a rischio o che siano stati compromessi. Circa cinque anni fa, una parte della società civile europea ha condotto una battaglia contro gli Isds, e contro la sua versione rivista, l’“Ics” (International court system), in occasione dei negoziati tra Europa e Stati Uniti sul trattato di libero scambio poi abortito (il Ttip). Le ong temevano l’istituzione di questi speciali tribunali grazie ai quali un'azienda avrebbe potuto citare un governo se avesse ritenuto che le sue politiche stessero intaccando interessi commerciali garantiti dal Ttip. Un po’ come quando, nel 2012, Vattenfall avviò la battaglia legale contro il governo tedesco per la scelta di ridurre il nucleare; lo scorso marzo la Germania le ha accordato una compensazione per quasi un miliardo e mezzo di euro. L’'interesse privato così diventa prioritario rispetto a quello della collettività, hanno sempre obiettato sindacati, ong, associazioni. Il Ttip non è stato concluso, ma l’accordo Ue-Canada – il Ceta – prevede ad esempio i tribunali Ics.

La svolta nel cuore d’Europa

Nel 2018 la Corte di giustizia dell’Unione europea con una sentenza ha gettato nel panico le corporation. Oltre ai trattati di libero scambio internazionali, esiste anche una miriade – dozzine – di trattati bilaterali sugli investimenti che sono stati siglati dagli stati membri dell’Ue fra di loro. Questi accordi tra singoli governi europei, detti “Bit” cioè bilateral investment treaties, fino al 6 marzo 2018 avevano sempre previsto una clausola per le dispute, e quindi anche il ricorso agli Isds. In quella data spartiacque, con la “sentenza Achmea”, la Corte europea ha bollato come illegale quel sistema, perché consentiva una sorta di regime giudiziario parallelo. Se ci si attiene invece ai trattati europei, solo le corti degli stati membri e la Corte Ue possono risolvere le dispute europee. La sentenza del 2018 ha avuto effetti deflagranti. Anzitutto, ha dato ragione alla Slovacchia, che aveva vietato i profitti sulle assicurazioni sanitarie, sottraendola così alle richieste di risarcimento della società Achmea. Poi, dice Laurens Ankersmit, esperto legale di Clientearth, ha segnato il territorio, giuridicamente parlando: «Se una disputa tocca leggi europee, sono le corti europee a doverla dirimere».

Le lobby all’assalto

Così si è infranto un sistema che «consente alle multinazionali di fare pressione sui decisori», dice Clientearth. Le corporation non hanno gradito. E lo hanno fatto sapere a Bruxelles con ogni tono e argomento, tutti tracciati da Ceo nel suo dossier. C’è la minaccia: «Questa mancanza di protezione può spingere le aziende a investire fuori dall’Ue, il che comporta meno capitali e entrate fiscali per l’Europa», scrive a luglio 2019 la federazione bancaria europea (Ebf). C’è l’allarme: «Lascerete gli investitori senza protezione», dice la lettera siglata dalle lobby dell’ industria tedesca a giugno dello stesso anno. Da lì al 2020, non ci si ferma alle lettere: ci sono stati almeno una dozzina di incontri con Bruxelles. Che intanto ignorava la società civile: «La Commissione è sorda alle richieste dei lavoratori per un minimo di standard sociali, e invece subito agisce per tutelare le aziende», ha fatto notare la Camera del lavoro austriaca. Già, e agisce come? Nella direzione che le grandi aziende le chiedono. A novembre 2019, Deutsches Aktieninstitut e Afep, che fanno attività lobbistica per multinazionali del calibro di Total, Daimler e BlackRock, chiedono «alla Commissione che metta sul tavolo iniziative legislative per ristabilire una cornice a tutela degli investimenti», e danno pure una deadline: «Al massimo entro il 2021».

Scenario futuro

«Quello che le aziende chiedono, Bruxelles sta facendo», dice Pia Eberhardt, la ricercatrice di Ceo che ha lavorato al dossier. «Stando a fonti interne alla Commissione, farà una proposta in autunno». L’ipotesi è quella di un sistema giudiziario parallelo che travalica Corte Ue e corti degli stati membri, attraverso il quale gli investitori – le corporation – possono far valere i loro interessi. A volte non serve neppure che si arrivi in aula: «Il principale scopo di questo tipo di tribunali è esercitare una pressione, spesso basta ventilare un’azione per avere un effetto deterrente sui governi», come fa notare il premio Pulitzer Chris Hamby. Per creare un tale sistema parallelo nell’Ue, bisognerebbe riformare i trattati. Ma stando a quel che dicono alla Commissione aziende come Enel, «la posta in gioco è estremamente importante».

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