Ieri mattina la Russia ha ufficialmente interrotto la fornitura di gas naturale alla Finlandia. È successo a pochi giorni dalla richiesta di adesione alla Nato che ha di fatto interrotto una lunga tradizione di neutralità. Inoltre il governo locale ha deciso di non cedere al ricatto russo, rifiutando il pagamento del gas in rubli.

La compagnia energetica nazionale, la Gasum, ha detto di essersi già preparata per tempo ad affrontare questa situazione. Sostiene che non ci saranno interruzioni o alterazioni nella distribuzione del gas, né problemi di scorte data l’esistenza di fonti alternative di generazione e fornitura.

D’altronde la Finlandia non sembra temere anche il rischio di dover rinunciare pure al petrolio russo. Il sesto pacchetto di sanzioni economiche contro la Russia proposto dalla Commissione europea è stato anzi accolto con favore dal ministro dell’Economia di Helsinki, Mika Lintilä. Nelle ultime settimane ha più volte dichiarato alla tv di stato Yle che «tagliare i ponti con Putin sul piano energetico è l’unico modo per condizionare la sua economia e le sue scelte».

Le nuove sanzioni, che il Consiglio europeo è ancora lontano dall’approvare a causa del veto dell’Ungheria, prevedono come punto cardine il blocco alle importazioni di petrolio, sia greggio sia raffinato, via mare e tramite oleodotto, entro sei mesi. Secondo i dati forniti dall’International Energy Agency (Iea), il 60 per cento del petrolio esportato ogni anno da Mosca ha come destinazione l’Europa. Tra questi stati la Finlandia è in prima linea.

Petrolio pagato col sangue

La Iea riporta che nel 2021 il paese è stato il nono importatore di petrolio russo nel mondo per volume. Secondo le stime di Statistics Finland, da gennaio a settembre dello scorso anno ha versato nelle casse dei suoi vicini quasi 2 miliardi di euro per assicurarsi il combustibile. Su 309mila barili importati ogni giorno da Helsinki, 246 provenivano dalla Russia.

Un grado di dipendenza pari all’80 per cento che ha reso la Finlandia il secondo stato europeo più “schiavo” del greggio russo dopo la Lituania (83 per cento). Per intenderci, la Germania è dipendente al 30 per cento e l’Italia al 13 per cento. «È chiaro che i costi dell’energia aumenteranno per famiglie e imprese e lo faranno bruscamente» ha ammesso Lintilä, aggiungendo però che il governo si sta assicurando di garantire al paese rotte di approvvigionamento alternative. E che la Finlandia è pronta da mesi a fare a meno di quell’«oro nero che diventa ogni giorno sangue ucraino».

Come riporta il quotidiano nazionale Helsingin Sanomat, a marzo la Finlandia ha importato il 70 per cento in meno di petrolio greggio dalla Russia rispetto allo stesso periodo del 2021, sostituendolo, in parte, con petrolio norvegese. Secondo il magazine online Helsinki Times questo ha comportato una diminuzione del valore degli acquisti di petrolio dalla Russia pari al 45 per cento rispetto all’anno precedente.

Fonti alternative

Le parole del ministro trovano conferma anche nei provvedimenti messi in atto dalla Neste, la principale compagnia petrolifera finlandese, controllata dal governo. Fino allo scorso febbraio importava dalla Russia due terzi del greggio totale annuo. Dopo soli quattro giorni dall’invasione dell’Ucraina, ha smesso di stipulare nuovi accordi di fornitura per tutti i prodotti petroliferi di Mosca.

Come ci spiega il vicepresidente esecutivo di Neste, Markku Korvenranta, «non abbiamo effettuato un singolo acquisto di greggio russo dall’inizio della guerra e da aprile abbiamo sostituito l’85 per cento del loro petrolio con altre qualità nell’ambito dei contratti di fornitura esistenti e delle capacità tecniche.

Ciò si è reso possibile grazie al fatto che una parte significativa dell’approvvigionamento è stata comprata sui mercati spot, cioè un carico alla volta e dietro pagamento immediato, e questo ci ha permesso di reagire alle fluttuazioni del mercato». Non è stato rilasciato alcun commento per quanto riguarda i canali di rifornimento alternativi che, secondo l’agenzia di stampa Reuters, arriverebbero dal mare del Nord.

Oggi il numero di petroliere russe che sbarcano nella raffineria di Neste a Porvoo, cittadina sul mar Baltico, si è drasticamente ridotto rispetto al periodo precedente alla guerra: «Restano i contratti in essere siglati prima dell’aggressione all’Ucraina – spiega Korvenranta – scadranno a luglio e non saranno rinnovati, a prescindere dall’approvazione delle nuove sanzioni da parte del Consiglio europeo».

Neste è stata la prima compagnia petrolifera d’Europa a bloccare le importazioni di greggio russo e la decisione è stata presa in piena autonomia, come del resto è avvenuto per altre aziende del settore (ma non per tutte: continuano ad acquistare petrolio russo la Neftochim Burgas, compagnia bulgara di proprietà russa, l’ungherese Mol e la tedesca PCK Schwedt, queste ultime due dipendenti dai rifornimenti che giungono via terra attraverso l’oleodotto Druzhba).

Per la Finlandia l’indipendenza non solo dal petrolio ma dall’intero comparto energetico russo rappresenta una sfida gravosa, considerato che, secondo Statistics Finland, lo scorso anno l’energia importata da Mosca ha costituito il 34 per cento del fabbisogno energetico del paese (con una quota di gas naturale russo utilizzato pari addirittura al 92 per cento del totale). Ciononostante il governo guidato da Sanna Marin tira dritto, e dopo aver formalizzato la richiesta di adesione all’Alleanza atlantica, spinge perché Bruxelles sblocchi l’approvazione delle nuove sanzioni.

 

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