Nel giro di un mese, questa è già la seconda missione a Washington guidata dall’eurodeputato dem Brando Benifei: presiede la delegazione dell’Europarlamento per le relazioni con gli Usa.

Lei si trovava a Washington quando è arrivata la notizia della sentenza che mette in discussione il Liberation Day trumpiano – per l’Ue i dazi al 10 per cento – dato l’abuso delle leve emergenziali da parte del presidente. In che modo questa svolta cambia i negoziati in corso tra Usa e Ue?

Cambia la posizione negoziale degli Usa. Ne esce indebolita, o per dirla diversamente: forse l’amministrazione Trump sarà più costruttiva nel ragionare su accordi reciprocamente positivi.

Gli effetti concreti del verdetto in sé andranno soppesati alla luce dei ricorsi, ma non ho dubbi che la sentenza possa influire sull’andamento dei negoziati, se non lo ha già fatto: non è da escludere che l’annuncio trumpiano di pochi giorni fa, su ulteriori dazi al 50 poi messi in pausa, rappresentasse un tentativo di accelerare le trattative prima della sentenza. Verdetto che invece dimostra che noi europei abbiamo leve in mano.

È un’impressione corroborata dai suoi incontri in Usa?

Ho incontrato anche gli ambasciatori dei governatori, tra i quali alcuni che hanno fatto ricorso contro i dazi; ma pure tra quelli repubblicani non ho visto grande entusiasmo verso la strategia trumpiana dato l’impatto sul mondo produttivo dei distretti repubblicani stessi.

Un mese fa ho incontrato anche i rappresentanti in Congresso, e continuiamo a interfacciarci con l’amministrazione Trump: l’impressione è che più passa il tempo più la tenuta interna inizi a scricchiolare.

Non c’è solo il versante giudiziario, insomma, ma pure quello del consenso politico: ecco perché dal recente colloquio che ho avuto con Bryant Trick, che segue per gli Usa i negoziati con l’Ue in quanto assistant trade representative for Europe, ho avuto l’impressione che gli Usa vogliano un accordo con l’Europa e pure in fretta. Il clima di recente è più positivo, il negoziato ha preso forma; non significa che io mi aspetti un esito immediato.

Quali conclusioni dovrebbe trarne l’Ue rispetto all’atteggiamento da tenere?

L’Ue dovrebbe considerare la pazienza come leva negoziale: dato che la finestra di opportunità per la strategia aggressiva di Trump potrebbe chiudersi, non c’è motivo di cedere su ciò che riteniamo importante. Si può puntare a un accordo buono anche per l’Ue e assumere la rigidità tale da ottenerlo.

Avevamo lasciato Bruxelles e Washington a scambiarsi telefonate e documenti negoziali. Nel merito delle trattative, cosa sta cambiando?

Ci è stato ventilato che ulteriori richieste, più circostanziate, da parte degli Usa arriveranno tra questa settimana e la prossima. Ritengo a dir poco plausibile che tra queste vi sia il tema degli standard fitosanitari (“sps”) per cibo e prodotti agricoli (gli spintoni per carne agli ormoni, ogm, pollo al cloro...).

Questo mercoledì abbiamo incontrato sia la sottosegretaria all’agricoltura Usa che segue il versante commerciale, sia le rappresentanze del mondo agricolo statunitense; ho riscontrato un’aggressività elevata sul tema. Ma toccare la tutela del consumatore e la salute non è concepibile, dal nostro versante.

Sul versante tech, invece, mi pare che la pretesa che l’Ue metta in discussione le sue leggi in sé stia passando in secondo piano e che Washington punti piuttosto a una pressione politica sotto traccia perché le norme siano applicate in modo meno stringente. Inaccettabile, per me. Su entrambi questi versanti l’Europarlamento deve garantire la tenuta delle regole europee.

E von der Leyen? Lei è proprio sicuro che Trump non stia trovando varchi aperti in questi suoi tentativi di sfondare regole e tutele europee?

A me, più che un attendismo della Commissione spaventa la pressione da parte di alcuni governi perché l’Ue accetti tutto senza contromisure. L’amministrazione Usa già vuole dare per assodati i dazi al 10 per cento, non possiamo subirli senza risposte: ormai è chiaro che non si tornerà all’era pre Trump, dunque anche l’Ue deve tutelarsi.

Tra i governi di cui parla c’è quello Meloni?

Non è l’unico, ma non c'è dubbio. La mia impressione è che gli interlocutori Usa siano fiduciosi di trovare nel governo Meloni una sponda perché l’Ue ceda su temi fondamentali per me e per tanti, come la regolazione digitale e le questioni relative alla tutela della salubrità dei prodotti agroalimentari. A Washington non di rado il governo italiano viene citato esplicitamente tra quelli che possono aiutare a incrinare la posizione dell’Ue.

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