Whatever it takes non vale per l’Afghanistan. Di fronte alla presa di potere dei Talebani e la caduta di Kabul, tutti i principali capi di governo si sono rivolti ai cittadini, chi con una conferenza stampa (Angela Merkel), chi con un messaggio alla nazione (Emmanuel Macron e Joe Biden). Da palazzo Chigi, per il momento, è arrivata soltanto una breve intervista al Tg1, la prima del presidente del Consiglio, in cui Mario Draghi rincorre gli altri leader europei. I punti salienti sono due: il sacrificio dei 54 italiani morti in Afghanistan non è stato invano e Roma si sta adoperando, in collaborazione con i partner europei, per evacuare italiani e persone a rischio sotto il nuovo regime. Nessuna parola sulla linea futura di Italia ed Europa nei confronti di Kabul e dei profughi.

Eppure, la riconquista del paese da parte dei Talebani rischia di avere un impatto rilevante sulla politica europea e gli interventi dei capi di governo di Germania e Francia ne hanno declinato le possibili conseguenze.

Germania

Quello che sarà uno degli ultimi interventi pubblici di rilievo della cancelliera uscente è stato incentrato quasi interamente sulla gestione delle migrazioni che provocherà la presa di potere dei Talebani. Merkel ha fatto un discorso quasi sulla difensiva, puntando sul sostegno ai paesi confinanti per l’accoglienza. Armin Laschet, il candidato della Cdu, ha sottolineato la necessità di «evitare che si ripeta il 2015». Tradotto, l’accoglienza del «Wir schaffen das», «ce la facciamo», rivolta ai profughi siriani non si ripeterà, e con essa l’assist alla destra tedesca più conservatrice nella Cdu, ma anche la Csu di Horst Seehofer, allora ministro dell’Interno che si era rallegrato che il giorno del suo sessantanovesimo compleanno erano stati espulsi 69 profughi e aveva attaccato Merkel su questo punto. Il rischio più grande arriva però da Afd, che sull’immigrazione di quel periodo ha costruito tutto il suo capitale di voti. A poco più di un mese dalle elezioni, un’apertura simile appare rischiosa per la Cdu. Laschet, lunedì, ha detto anche che non ritiene opportuno «lanciare il segnale che la Germania possa accogliere tutti quelli che sono in pericolo». Per il momento, i tedeschi stanno cercando di recuperare il tempo perso all’inizio dell’evacuazione del personale d’ambasciata e dei collaboratori afghani, una scelta ampiamente criticata da commentatori e opposizione. Il primo volo arrivato su Kabul lunedì sera non è potuto atterrare per molte ore e quando è ripartito portava a bordo solo sette persone perché le operazioni di imbarco, rese difficili dall’inaccessibilità dell’aeroporto, non sono state coordinate al meglio. Ora la Bundeswehr, l’esercito tedesco, starebbe inviando paracadutisti per scortare gli afghani che hanno collaborato verso l’aeroporto.

Francia

Mentre Berlino e Merkel contano sulla cooperazione francotedesca, il presidente francese Emmanuel Macron ha altre priorità: nel discorso dell’altra sera tutta l’attenzione era per la linea dura francese nei confronti del terrorismo, con un occhio già alle elezioni presidenziali del 2022. Uno schema che in realtà si ripropone ormai da tempo, con Parigi più determinante sulle questioni securitarie e Berlino più attenta a quelle economiche e umanitarie. Macron ha evocato come partner anche Washington, Londra e persino Mosca, senza però spendere parola sui rapporti con l’Italia.

Italia

Da Roma arrivano per prime le parole dei leader di partito sugli eventi afghani. Enrico Letta dice in un’intervista a La Repubblica che «la democrazia non si può esportare», Matteo Salvini rimprovera Joe Biden per aver fatto un discorso «pessimo» e Matteo Renzi offre un assaggio dei suoi interventi alle conferenze geopolitiche a cui è invitato. Da palazzo Chigi arriva nel pomeriggio la notizia che Mario Draghi ha avuto un colloquio telefonico con Merkel in cui «è stata discussa la protezione umanitaria di quanti hanno collaborato con le istituzioni italiane e tedesche in questi anni e delle categorie più vulnerabili, a partire dalle donne afghane» e «le possibili iniziative da adottare». Per il momento, però, l’unica immagine del governo è quella del ministro degli Esteri Luigi Di Maio in costume che segue la crisi afghana da una spiaggia pugliese.

È vero, un volo italiano ha già portato a Fiumicino la maggior parte del personale italiano e diversi collaboratori afghani, ma non è chiaro come continueranno le operazioni di evacuazione. I ministri di Esteri (M5s) e Difesa (Pd) hanno già escluso i corridoi umanitari perché comportano la legittimazione del nuovo governo afghano, Lorenzo Guerini tra l’altro in netta contraddizione con il suo segretario, che pure li ha chiesti. Intanto però l’audizione dei due ministri in parlamento è in calendario per il 24 agosto e per il momento anche i parlamentari si ritrovano praticamente all’oscuro della linea italiana, che il governo continua a non delineare.

Dopo le elezioni tedesche di settembre, con l’uscita di scena di Angela Merkel, Mario Draghi resterà la personalità europea più riconosciuta ed è a lui che molti guardano come punto di equilibrio. Sul dossier afghano, però, finora ha lasciato agli altri l’iniziativa, nonostante la centralità dell’Italia nella guerra e nelle possibili conseguenze della sua fine.

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