I timori per gli «abissi della politica italiana» portano i tedeschi a perdonare il banchiere che ha imposto la filosofia anti-austerità decisiva per il futuro dell’eurozona. E la cancelliera ne è ben consapevole: resta l’angoscia per un possibile governo Meloni-Salvini
- «Sono stati anni difficili e con decisioni controverse. Draghi è stato un presidente di grande autorevolezza, ma ha innescato un dibattito sulle competenze della Banca centrale europea e i problemi di quei paesi affetti da elevato debito pubblico e bassa crescita non sono stati risolti», dice Clemens Fuest.
- L’opposizione a Draghi allora aveva ragioni economiche ma anche culturali: «I tedeschi sono fissati per le soluzioni giuridiche: non accettano che il mandato della Bce sia messo in discussione.
- «Certamente la frase di Draghi non è piaciuta a molti risparmiatori. Ma ha dovuto tenere insieme l’eurozona, che all’epoca era attraversata da profonde divisioni che erano state sottovalutate all’epoca della fondazione dell’Unione.
Quello tra Mario Draghi e la classe dirigente tedesca è stato un rapporto complesso, conflittuale o, almeno, è descritto così. Negli anni della crisi, il suo «whatever it takes» sembrò incarnare l’alternativa all’ortodossia economica tedesca. Forse anche per una certa distanza culturale e persino geopolitica, tra il mondo di Draghi e quello dell’establishment tedesco. Ancora oggi, ci sono accenti diversi nella valutazione della sua presidenza. L’eredità del 2008 «Mario Draghi ha fatto al



