«Dobbiamo cambiare la prospettiva di Putin, per questo servono supporto militare all’Ucraina e altre sanzioni contro la Russia, come l’embargo contro petrolio e gas».

Alexander Rodnyansky è uno dei consiglieri che assistono il presidente Volodymyr Zelensky nella gestione di queste settimane drammatiche di guerra.

Economista, un dottorato a Princeton e un posto prestigioso da professore a Cambridge in Inghilterra, a 34 anni Rodnyansky ha messo in pausa la sua carriera accademica per aiutare Zelensky a studiare la risposta economica alla guerra e impostare le trattative con l’Europa e gli Stati Uniti. 

Professor Rodnyansky, l’Ucraina ha ottenuto importanti vittorie sul campo. C’è qualche spiraglio per dire che la situazione sta migliorando?

La situazione è critica, abbiamo avuto alcuni successi, è vero, abbiamo respinto le truppe russe nell’area intorno a Kiev e abbiamo liberato alcune aree nel nord. Ma i russi si stanno preparando all’offensiva nel Donbass, dove purtroppo superano le nostre forze in un rapporto di cinque a uno.

Abbiamo visto a Bucha cosa sono capaci di fare i russi, purtroppo ci arrivano storie analoghe anche dalle zone intorno a Mariupol.

In questo momento è una domanda terribile da fare, ma Putin si fermerà una volta ottenuto il Donbass?

Putin non ha alcuna intenzione di fermarsi, purtroppo, ha preparato la guerra per anni e per anni ha preparato la sua popolazione con la propaganda. Si è anche attrezzato per resistere alle sanzioni e non si arrenderà così facilmente. Ma non sarà facile per lui neppure ottenere il Donbass.

Abbiamo già visto che quando i russi capiscono di non poter ottenere niente, si ritirano. E’ successo nel nord, è successo intorno a Kiev, deve succedere anche in Donbass.

Quindi Putin può perdere?

Dobbiamo mettere abbastanza pressione su Putin che altri problemi inizino a diventare impellenti per lui e per la Russia rispetto ad avanzare ancora in Ucraina. Non siamo neanche lontanamente a quel punto: il bilancio russo è sostenuto dai soldi che arrivano come pagamento di petrolio e gas a prezzi record.

La macchina militare russa può continuare a funzionare così, e la popolazione russa non oppone alcuna resistenza, influenzata dalla propaganda interna e dal controllo dei media.

Dobbiamo cambiare la prospettiva di Putin, per questo servono supporto militare all’Ucraina e altre sanzioni contro la Russia, come l’embargo.

L’analisi costi-benefici di Putin sull’opportunità del conflitto deve cambiare.

Anche nel mezzo della guerra, continua a pensare da economista. Vediamo i dettagli delle sanzioni. I soldi del gas e del petrolio arrivano davvero a Putin, o sono colpiti comunque dalle sanzioni contro la banca centrale russa e i suoi asset all’estero?

Le sanzioni all’inizio del conflitto hanno colpito lo stock delle risorse della banca centrale all’estero, ma non riguardano i flussi di risorse che arrivano dall’occidente nei conti correnti presso Gazprombank.

Per questo il regime russo ha cercato in tutti i modi di far pagare il gas in rubli, per assicurarsi che i soldi continuassero ad arrivare in Russia attraverso un percorso sotto il pieno controllo di Putin. Gazprombank è diventata una sorta di banca centrale ombra che permette alla Russia di aggirare parte degli effetti delle sanzioni occidentali.

Quindi l’Ue dovrebbe sanzionare Gazprombank.

Non stanno sanzionando Gazprombank perché l’Ue sta continuando a comprare gas e vuole farlo, sanzioni contro Gazprombank sarebbero equivalenti a un embargo.

Molti paesi, a cominciare la Germania, temono di finire in recessione se approvassero un embargo sul gas: circolano paper che parlano di un calo del Pil tedesco fino a 3 punti percentuale.

Credo sia uno scenario troppo pessimistico. Ci sarebbero dei costi a breve termine, ma quanto grandi?

Un embargo ora, prima dell’estate, avrebbe conseguenze contenute, al massimo 1200 euro per persona per l’intero anno. Doloroso, ma non catastrofico, e un’economia ricca come quella tedesca potrebbe garantire risorse alle persone in condizioni più fragili con politiche redistributive, come durante la pandemia.

L’anno successivo le cose già andrebbero già meglio. E comunque si può partire con l’embargo petrolifero, perché il petrolio si può comprare altrove nel mondo ma vale il 35 per cento del bilancio della Russia. Quindi per Putin è importantissimo e per l’Ue è più facile da gestire.

Quali conseguenze ci possiamo aspettare dopo un eventuale embargo: Putin potrebbe vendere il suo petrolio alla Cina?

Il 49 per cento delle esportazioni petrolifere russe va verso l’Europa: non sarebbe facile trovare altri compratori per volumi simili.

Ci sono già dei gasdotti verso la Cina, ma Pechino ha un tale potere negoziale con la Russia che ottiene prezzi più bassi e dunque i profitti per la Russia sono molto inferiori rispetto a quelli che ottiene commerciando con i paesi occidentali.

Se Mosca dovesse vendere altro gas alla Cina, in aggiunta a quello che vende ora, dovrebbe farlo a prezzi molto più bassi di quelli già scontati che pratica ora ai cinesi.

Sommato all’impatto di un embargo petrolifero, uno scenario simile significherebbe serissimi danni economici per Putin che ha un disperato bisogno dei soldi del gas. E lo vediamo perché sta pompando gas al massimo della capacità dei gasdotti che attraversano l’Ucraina.
Ecco, questo è un punto interessante: anche in piena guerra c’è un gasdotto che porta il gas russo verso l’Europa e che attraversa l’Ucraina. Non potreste chiudere quel gasdotto e fermare così il mercato europeo del gas di Putin?

Potremmo, certo. Ma siamo un partner affidabile: se l’Ue compra gas dalla Russia, non saremo noi a far saltare in aria il gasdotto. Deve essere l’Ue a decidere l’embargo e smettere di comprare il gas da Putin.

Ci chiedono spesso se facciamo soldi con quel gasdotto: certamente incassiamo una tassa di passaggio.

E chi la paga? L’Europa o la Russia?

La Russia.

Quindi la Russia paga l’Ucraina per i servizi di passaggio del suo gas mentre le fa la guerra?

Sì, ma va specificato che l’Ucraina non dipende da quei soldi: sulla base degli accordi negoziati nel 2019, otteniamo circa 1,3 miliardi all’anno, che sono appena il 2,6 delle entrate del paese.

Potremmo fare senza, ma non vogliamo distruggere il tubo perché da esso dipende l’Europa e perché ci sarebbero problemi nella distribuzione del gas anche all’interno della stessa Ucraina.

Potremmo gestirlo, ma ci sarebbero problemi perché si faticherebbe a mantenere la giusta pressione nella rete gasiera italiana.

L’Ucraina rischia il default? L’economia è collassata.

Secondo le stime della Banca mondiale, il Pil dell’Ucraina potrebbe scendere del 45 per cento quest’anno. E la guerra continua, quindi la stima potrebbe essere troppo ottimistica.

Il problema non è il default nel senso di finanziare le spese, soprattutto quelle militare, ma dal lato delle entrate che sono evaporate.

Per il momento ce la caviamo con l’emissione di debito di guerra che viene comprato dalle nostre banche commerciali in Ucraina, ma è difficile dire come finirà.

Per questo si parla già di chi dovrà pagare la ricostruzione dell’Ucraina quando la guerra sarà finita. Dovremo avere un “approccio Versailles” e chiedere alla Russia di pagare i danni, magari attingendo agli asset degli oligarchi congelati all’estero? Oppure un “modello piano Marshall”, con prestiti e donazioni occidentali?

Sappiamo dalla storia che il piano Marshall è stato più efficace nel garantire pace e prosperità. Stiamo già parlando di un Recovery fund, siamo sicuri che avremo il supporto di tutte le istituzioni internazionali così come dall’Ue e dagli Stati Uniti. 

Purtroppo serviranno molti miliardi, probabilmente centinaia di miliardi di dollari, dal 2014 al 2020 abbiamo ricevuto dalla comunità internazionale 103 miliardi di dollari per costruire infrastrutture: strade, ponti e tutto il resto.

Ma la Russia ha già distrutto più di 200 miliardi di dollari di infrastrutture, giusto per dare un’idea. Dovremo ricostruire il paese ed evitare di finire in una “trappola della povertà”, come la chiamano gli economisti, quando un paese è così povero che si trova diventare dipendente dagli aiuti internazionali.

Per questo stiamo già lavorando a importanti riforme di semplificazione, che rendano possibile fare investimenti profittevoli in Ucraina e mettere le basi per la crescita. Dopo la guerra.

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