Agganciata agli Stati Uniti e sempre più influente in Unione europea, la Polonia questa domenica sceglie il suo presidente della Repubblica. O più probabilmente, dato che la maggioranza assoluta al primo colpo è ardua, individua la coppia di punta per il secondo turno del primo giugno.

Alla fine riuscirà a superare la coltre di scandali, il candidato del Pis alleato meloniano, che si fa forte dei selfie con Donald Trump, oppure arriverà finalmente il momento del sindaco di Varsavia Rafał Trzaskowski, che aveva già tentato la corsa alla presidenza nel 2020 e che tenta la riscossa in nome dell’èra Tusk?

Tra questi due campi, entrambi decisamente filoatlantici, l’avrà vinta il trumpismo propagandato o l’americanismo in salsa europeista? E che gradazione di destra prevarrà, quella spinta e illiberale del Pis o quella liberale e ammantata di centrismo di Trzaskowski?

Che ruolo giocheranno i voti degli altri candidati, chi più a destra (quella neofascista di Konfederacja impersonata da Sławomir Mentzen), chi più a sinistra (la senatrice Magdalena Biejat in piazza alle manifestazioni per il diritto all’aborto), chi al centro (l’alleato di governo Szymon Hołownia)?

La vera sfida è per Tusk

Anche se è difficile superare il ruolo di spartiacque del 2023 – l’anno in cui i polacchi hanno votato in massa alle elezioni politiche archiviando così l’èra ultraconservatrice del Pis e consegnando una maggioranza di governo alla coalizione guidata da Donald Tusk – queste elezioni presidenziali segnaleranno comunque una svolta.

Il presidente uscente Andrzej Duda (che non è in corsa perché ha già svolto due mandati) ha utilizzato attivamente il potere di veto per intralciare a nome del Pis i piani tuskiani. In Polonia infatti il presidente della Repubblica – oltre a rappresentare il vertice delle forze armate, a poter indire referendum e ratificare trattati internazionali – può bloccare qualsiasi provvedimento parlamentare con il suo veto, che soltanto una super maggioranza di tre quindi può scavalcare.

E Tusk non la ha: dunque se la sua Piattaforma civica, Platforma Obywatelska, riuscirà stavolta a eleggere Rafał Trzaskowski e a ottenere così anche la presidenza della Repubblica, l’attuale governo potrà liberarsi del veto-ricatto esercitato finora dal Pis per mano di Duda.

Da questo punto di vista, le presidenziali 2025 sono un secondo turno virtuale delle politiche di ottobre 2023: possono decretare l’archiviazione dell’èra Pis, oppure no.

Già nel 2020 Trzaskowski, ha sfidato Duda, il quale ha condotto una campagna più omofoba che mai e per un soffio percentuale ha incassato la presidenza. Ora il sindaco di Varsavia ci riprova, con qualche punto di forza in più.

Leader di fatto di Platforma finché Tusk era a Bruxelles, Rafał Trzaskowski si è conquistato questa ri-candidatura alle primarie della Coalizione civica, in cui ha incassato il 75 per cento stracciando il ministro degli Esteri Radosław Sikorski (25 per cento).

Il governo Tusk – tra inni alla deregolamentazione, acquisti di armi e accordi di cooperazione nucleare con gli Usa, spinte all’aumento della spesa militare che in Polonia è già al 5 per cento del Pil e derive destrorse sui migranti – slitta decisamente più a destra che a sinistra.

Tuttavia in questo contesto l’ex ministro, e attuale sindaco della capitale, che ha sempre esposto come fiore all’occhiello gli asili nido gratuiti, tiene viva l’inclinazione europeista e incarna l’anima più liberale del partito. Per quanto la contesa presidenziale obblighi ad attrarre un pubblico ampio (serve la maggioranza assoluta), in tv Trzaskowski non esita a bollare le leggi anti aborto come «medievali» e propugna la pillola del giorno dopo.

Trumpismo e scandali

Per quanto i tuskiani siano filoatlantici e cerchino la cooperazione anche con l’attuale presidente, il fronte di governo polacco resta ancorato anche con l’Ue: Platforma è grande azionista nel Ppe e forma il triangolo di Weimar 2.0 con Merz e Macron. Il Pis invece vede negli Usa l’unico interlocutore.

Già Duda si era ritagliato il ruolo di pontiere degli ultraconservatori con Biden, che aveva garantito al Pis una certa copertura anche con Bruxelles; oggi che alla Casa Bianca c’è l’affine destra trumpiana, il candidato Nawrocki va lì a farsi i selfie con il presidente Usa ed esibisce il suo endorsement, come ha fatto il 2 maggio. «Nawrocki è entusiasta dei dazi come se fosse candidato a governare l’Ohio, non la Polonia», lancia affondi Trzaskowski.

Ma il vero passo falso per il candidato scelto dal Pis – che era presidente dell'Istituto della Memoria Nazionale e si è presentato sulla scena come civico – è lo scandalo che lo ha travolto in piena campagna elettorale: impossessarsi con mosse controverse dell’appartamento di un anziano (e non dichiararlo neppure).

«Disgustoso», ha commentato Sławomir Mentzen della neofascista Konfederacja; e quel che va notato è che il Pis se n’è stupito: era la violazione di un patto di non belligeranza. Mentzen, che nei sondaggi pare andare forte tra i giovani, potrebbe arrivare terzo e influire coi suoi voti al secondo turno sulle chance del Pis di battere i tuskiani.

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