Questo capitale tech, per essere il futuro, sa un po’ troppo di passato. Oggi Elon Musk, il magnate di Tesla, si trova in Germania: alla stregua di un capo di stato, svolge incontri diplomatici di alto livello. A Berlino approccia Armin Laschet, che si candida a succedere Angela Merkel alla cancelleria tedesca e quindi anche un po’ al timone dei governi europei. Insomma Musk studia la sua espansione in Europa.

Il punto è: sì, ma come? Coi soldi pubblici dell’ex Germania dell’Est. «Io davvero non capisco, non trovo giusto, che il multimiliardario Elon Musk scarichi sulle spalle del settore pubblico i rischi del suo progetto, mentre trattiene i profitti ben stretti per sé», sbotta Katharina Slanina, politica di sinistra, all’opposizione in Brandeburgo. 

La gigafactory

Facciamo un passo indietro. 13 agosto 1961, comincia la costruzione del muro di Berlino. 13 agosto 2021, cioè sessanta anni dopo: il capitalista tech Musk si spertica in annunci sulla costruzione in atto del «più avanzato impianto mondiale di produzione di veicoli elettrici ad alto volume» oltre che di batterie. In Germania, paese di imprenditoria automobilistica, Tesla impianta la sua prima “gigafactory” europea. Il sito si trova non lontano dall’aeroporto di Berlino, a Gruenheide. Musk si è già fatto fotografare col casco da operaio mentre assisteva ai lavori. Lavori che in realtà avrebbero dovuto procedere secondo le sue intenzioni in modo molto più spedito, ma servono permessi ambientali e altre pratiche da sbrigare; anche per accelerarle, l’imprenditore è partito per il tour tedesco.

I soldi dell’era comunista

Il suo piano di produzione è da mezzo milione di auto all’anno. E il bundesland, lo stato, del Brandeburgo intende aiutarlo. Prima ancora di incontrare oggi Laschet, Musk in settimana ha già fatto un valzer di strette di mano coi politici locali; e a quanto pare il giro è stato fortunato. Il Brandeburgo intende drenare fondi pubblici per mettere su l’infrastruttura della gigafactory. Il punto è che gli oltre otto milioni di euro di sussidi provengono da un fondo fiduciario che gestisce quel che resta del patrimonio del regime comunista. Le cui vittime ora insorgono: «Perché non utilizzare quei soldi per costruire scuole, case di riposo per anziani, centri per l’infanzia o memoriali per le vittime della dittatura?», si chiede Dieter Dombrowski. Lui è alla guida dell’associazione di vittime del comunismo della Germania dell’Est (la Uokg). Il gruppo non è contro la costruzione della fabbrica in sé. Si oppone però al fatto «che sia proprio l’amministrazione brandeburghese ad aiutare colui che è il terzo uomo più ricco al mondo». Ma per il capitale non c’è muro che tenga. 

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