Bentornata Europa! Siamo alla decima edizione dello European Focus!
Sono Viktória Serdült, la caporedattrice di questa settimana, e scrivo da Budapest.
Essendo ungherese, ho sempre avuto sentimenti ambivalenti nei confronti del calcio.
Siamo la patria di Ferenc Puskás, uno dei più grandi calciatori del ventesimo secolo, e la sua statua si trova proprio vicino al mio ufficio. Ma siamo anche un paese in cui miliardi e miliardi vengono riversati in quella che è l'ossessione del primo ministro. Nel suo villaggio, a casa sua, la finestra della cucina dà su uno stadio che lui stesso ha fatto costruire.

Con l'inizio dei campionati mondiali di calcio in Qatar, l'ambivalenza di sentimenti è diventata un tratto comune a molti appassionati di calcio in tutto il mondo. Comune a molti, ma non a tutti. Mentre alcuni boicottano i mondiali in segno di protesta contro la corruzione e le violazioni dei diritti umani, altri vogliono soltanto godersi le partite. Come mi ha detto un amico: «È calcio, voglio soltanto la mia birra e la mia televisione».
In un certo senso, ha ragione a far notare che questa non è la prima coppa del mondo al centro degli scandali. Ma allora, vuol dire forse che abbiamo due pesi e due misure? Oppure l'anima del calcio è ormai macchiata, per sempre? Speriamo che la newsletter di questa settimana lasci scorgere il nostro punto di vista su questo bel gioco.
Viktória Serdült, caporedattrice di questa settimana


Quando entra in campo la disillusione

Sport Bilder des Tages BREST, BELARUS – JULY 16, 2018: Football fans greet retired Argentinian footballer Diego Maradona, appointed FC Dynamo Brest chairman. Viktor Drachev/TASS PUBLICATIONxINxGERxAUTxONLY TS089D79

BERLINO – Nella mia famiglia, le partite di calcio internazionali si guardavano sempre tutti insieme. Ogni mondiale, ogni europeo. I miei genitori mi raccontavano dei loro giocatori preferiti. Erano racconti su Maradona, o su Ronaldo. Ero una fan sfegatata.

L'ultima partita che abbiamo visto insieme è stata la finale dei mondiali del 2010, in Sudafrica, Spagna-Olanda. Nessuno che parlasse, durante la partita; nessuno è andato mai in bagno. Guardavamo lo schermo come incantati, fino al momento in cui siamo saltati in piedi e abbiamo dato sfogo a tutta la tensione, quel momento in cui Andrés Iniesta, ai supplementari, ha segnato, regalando alla Spagna il titolo di campione del mondo.Il tiki-taka spagnolo incantava il mondo intero. Ma per me è finito tutto proprio nel 2010. Il maturare delle mie tendenze politiche e sociali mi ha allontanato dagli eventi sportivi e dalla loro corruzione.

Da bambina, se si parlava di schierarsi la questione era soltanto quella di scegliere la squadra per cui tifare. Era abbastanza facile. Prima la Spagna, sempre, secondo il Brasile, terza l'Argentina, e il quarto posto era per la squadra sfavorita. Crescendo, ho scoperto che Maradona non era proprio il santo di cui raccontavano i miei genitori, e che il mio sport preferito era pieno zeppo di criminalità.

Tutto sembra ruotare intorno al denaro, e non più intorno a quel pallone magico. Non riesco a guardare una partita per più di un quarto d'ora. Poi ricomincio a pensare al fatto che il calcio professionistico non ha alcun legame con la mia realtà. Al fatto che è infarcito di mazzette, truffe, e che sono gli ascolti, i diritti televisivi e i soldi a farla da padroni in questo gioco, non strategia né tattica.

C’era una volta un calcio che amavo. Ma gli scandali sembrano parte integrante del calcio professionistico. Ho nostalgia di quel gioco che mi faceva esultare, e saltare su e giù dall'entusiasmo. Mi manca quella girandola di emozioni. Il calcio professionistico non ha più niente a che vedere con quel gioco. E men che meno i mondiali in Qatar.

Farangies Ghafoor scrive di costume e società per Tagesspiegel


La tragedia del dinosauro del calcio estone

TALLINN - «Andarsene adesso vorrebbe dire tradire il calcio estone», ha detto il presidente della federcalcio estone, Aivar Pohlak, apparentemente in punto di morte, in un programma della televisione di stato. In scena, in un monologo ispirato a Macbeth, non c'era però il vero Pohlak, ma un comico del gruppo Kinoteater, che riempie i tempi morti tra le partite della coppa del mondo di calcio.
Nel corso della prima giornata dei mondiali, il gruppo ha criticato le violazioni dei diritti umani e le pessime condizioni in cui vivono i lavoratori in Qatar, critiche che secondo Pohlak non rispecchiano la realtà dei fatti. È stato qui che Kinoteater ha deciso di rispondere, nel corso di uno speciale televisivo, e il risultato ha infuocato i social media estoni.
Pohlak tiene in pugno il calcio estone ormai da decenni, e il suo potere è ancora fortissimo, nonostante il fatto che nelle classifiche Fifa la squadra maschile sia fuori dalla top 100, e quella femminile si trovi al 96esimo posto. La storia della sua presidenza è costellata di polemiche. L'ultima della serie sarà probabilmente dimenticata, mentre non è detto che il suo incarico non vada ai supplementari.
Herman Kelomees è giornalista di Delfi e si occupa di politica


La corruzione spiega anche il silenzio polacco

26.11.2022 Doha . Wojciech Szczesny podczas meczu Polska - Arabia Saudyjska na Mistrzostwach Swiata w pilce noznej Katar 2022 . Fot . Kuba Atys / Agencja Wyborcza.pl

VARSAVIA – Il fatto che il Qatar, con ogni probabilità, abbia ottenuto l'assegnazione della coppa del mondo grazie alla corruzione, è cosa risaputa in Polonia. Tuttavia, né la federcalcio polacca, né alcun membro della sua nazionale ha mai seriamente preso in considerazione l'idea di boicottare i mondiali per questa ragione.

Un motivo importante di questo silenzio potrebbe essere il fatto che per anni la federcalcio polacca (Pzpn) abbia tollerato la corruzione nel calcio del nostro paese, con il coinvolgimento, persino di alcuni suoi membri. Alcune indagini sono ancora in corso.

La scorsa settimana, la polizia ha arrestato all'aeroporto di Varsavia due importanti membri del direttivo della federcalcio polacca, che erano diretti in Qatar per la partita Polonia-Messico, con l'accusa di frode e riciclaggio di denaro.

Lo stesso allenatore della nazionale, Czesław Michniewicz, è una figura controversa. I media hanno rivelato l'esistenza, nel suo passato, di più di 700 telefonate con il rappresentante di una squadra di calcio polacca che truccava le partite del campionato nei primi anni 2000.

Fu uno scandalo enorme, per il quale vennero accusate più di 600 persone, fra cui calciatori e allenatori. Una rete criminale stabiliva al telefono i risultati prima di giocare, mentre alcuni calciatori erano incaricati di corrompere arbitri e avversari negli spogliatoi prima delle partite.

Michniewicz non è mai stato accusato, ma non ha nemmeno mai spiegato il perché di contatti così frequenti con il sospetto principale.

Ma anche in questo caso, l'opinione pubblica, in Polonia, non sembra interessata a pretendere nulla dal proprio allenatore.

Gli appelli a boicottare i mondiali fanno poco rumore, e i numeri degli ascolti delle partite in televisione sono da record.

Cezary Kulesza, amministratore delegato della federcalcio polacca, ha dichiarato: «Le squadre possono boicottare qualsiasi torneo, semplicemente non partecipando, ma quante lo fanno? Nessuno arriva a tanto».

Sembra che né l'etica, né la trasparenza contino ai Mondiali, ma soltanto i risultati.

Michał Kokot fa parte della redazione​ Esteri di Gazeta Wyborcza


Il numero della settimana: 10.000

PARIGI - In Qatar è previsto l'arrivo di 10mila tifosi francesi. Si tratta di un terzo dei 27mila francesi presenti ai precedenti campionati mondiali, in Russia, e di quasi la metà dei 17mila che arrivarono in Brasile nel 2014.

A Doha, persino le maglie tricolori si vedono poco. Durante la cerimonia d'apertura, l'inviato di Libération non ne ha vista neanche una. 

I tifosi hanno indicato diverse ragioni per il calo: dalle difficoltà di ottenere le ferie in inverno, ai costi più elevati, agli scrupoli, da parte di alcuni tifosi, di fronte all'idea di avallare una coppa del mondo disastrosa in quanto a diritti umani.

Nelly Didelot fa parte della redazione Esteri di Libération


Due pesi e due misure per l’Europa in Qatar

Fazekas Istvan

MADRID – «Vogliamo la birra! Vogliamo la birra!», ha ruggito la folla durante la partita di apertura della coppa del mondo 2022.

In un paese in cui i lavoratori migranti sono stati privati dei loro diritti, in cui le donne e la comunità lgbtq+ sono oppressi, e in cui l'assegnazione dei mondiali di calcio è avvenuta dietro pagamento di denaro contante, i tifosi hanno deciso che il vero fallo da espulsione è la decisione di Doha di vietare la vendita di alcolici dentro e intorno agli stadi.

La coppa del mondo in Qatar si sta scontrando con il più massiccio boicottaggio di un grande evento sportivo mai visto negli ultimi anni. Ma c'è una cosa che mi infastidisce.

La Russia ha ospitato la coppa del mondo nel 2018. Quella Russia che è un paese notoriamente antidemocratico, dove oppositori politici e giornalisti cadono dalle finestre, vengono fucilati sulla porta di casa o avvelenati con il polonio, e dove, pure, l'assegnazione della coppa del mondo è stata ottenuta col denaro sporco.

C'è stato un boicottaggio, in quel caso? No. Forse è cambiato qualcosa... O forse ci sono due pesi e due misure.

Perché ai popoli di tutta Europa sono andati bene i mondiali di calcio in Russia, ma non quelli in Qatar? Vorrei sottolineare alcuni aspetti che potrebbero avere un loro peso. Il Qatar è diverso, per noi europei, e il divieto di vendere alcolici non rappresenta che una piccola parte di questa diversità. In Russia potevamo chiudere un occhio sulla politica, e concentrarci sul calcio, grazie anche alla festa che lo circonda: la birra, i caroselli pre-partita per le strade, le risse con i tifosi rivali, e persino la prostituzione.

In Qatar non c'è niente di tutto questo.

Questa volta c'è uno specifico sentimento anti-Qatar, legato in parte alla rigidità della legge islamica vigente, ma anche in parte al fatto che per il tifoso medio è diventato impossibile partecipare.

Molti supporter si sentono derubati del loro spettacolo. Per questo non abbiamo incentivi a chiudere un occhio, come abbiamo fatto invece in Russia.

Alicia Alamillos scrive di politica internazionale per El Confidencial


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Simone Caffari)

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