Eletta presidente la candidata del futuro cancelliere, mentre l’estrema destra ha fallito per tre volte nell’elezione di un vice. Sia Klöckner che il presidente anziano Gysi raccomandano una dialettica ordinata e senza insulti. Ma sarà una legislatura difficile
Un percorso accidentato, ma il traguardo della prima tappa si staglia ormai all’orizzonte. Il Bundestag è costituito e anche le trattative per la formazione del nuovo governo procedono non proprio a gonfie vele, ma in maniera costante. Insomma, Friedrich Merz può dirsi contento, anche se la ventunesima legislatura si è aperta con una feroce polemica di AfD.
Ma sembra che il clima di opposizione costante e ostruzionismo dell’estrema destra sia destinato a diventare una costante della vita parlamentare tedesca. Perfino in una seduta per lo più simbolica, il partito di Alice Weidel si è agitato a più non posso, opponendosi con ogni mezzo all’ordine del giorno programmato. Primo punto di sfida, la presidenza della seduta costitutiva: mentre infatti il regolamento prevede che a guidare la prima riunione del parlamento sia il deputato con più anzianità di servizio, da tempo AfD insiste per sostituire questo criterio con una regola che consideri soltanto l’età anagrafica.
Una modifica che darebbe un palco ad Alexander Gauland, classe 1941, uno dei cofondatori del partito di estrema destra, trasmigrato dalla Cdu. Ed effettivamente la seduta si è aperta con un intervento polemico di Bernd Baumann di AfD, che ha attaccato i cristianodemocratici per aver preferito addirittura un membro della Linke a un ex uomo delle proprie file come Gauland. La proposta di modifica del regolamento dell’estrema destra, però, è caduta nel vuoto (come tutte le altre richieste di AfD).
A spiegarne la ragione, i parlamentari degli altri partiti intervenuti dopo Baumann: c’è già stato un caso in cui la presidenza è stata affidata temporaneamente a un uomo di AfD. È successo lo scorso autunno nel parlamento regionale della Turingia, dove il partito ha preso più del 30 per cento dei voti. I risultati sono stati pessimi, è il ragionamento, e hanno destabilizzato le procedure democratiche previste in avvio di una nuova legislatura. Un’esperienza da non ripetere.
Effettivamente, alla fine a presiedere è stato Gregor Gysi, uno dei senatori del partito di sinistra, noto avvocato ai tempi della Ddr e storico esponente dei partiti discendenti dal Pds e oggi confluiti nella Linke: il suo intervento è stato nel segno della pacificazione e del rispetto reciproco.
Tra sinistra e centrodestra, tra pacifisti e sostenitori di Readiness 2030 – «ai quali non appartengo, ma che non dobbiamo mai definire “guerrafondai”» – e tra ovest ed est. Anche a trentacinque anni di distanza, infatti, le differenze tra i vecchi e i “nuovi” Land sembrano continuare a esistere, anzi a essere più evidenti che mai dopo il successo straordinario dell’estrema destra oltre la vecchia frontiera.
Pacificazione
Ma l’auspicio che lascia al Bundestag agitato dalle proteste di AfD – il gruppo di Weidel applaude solo quando Gysi tira in ballo il cancelliere Bismarck – è di lavorare «senza offese e insulti». Una linea che adotta in tutto e per tutto Julia Klöckner, la candidata di Merz alla presidenza del Bundestag.
L’ex ministra, eletta con più voti dei soli gruppi di Spd e Cdu e sostenuta infatti in parte anche da Verdi e Linke, ha chiesto una «convivenza civile» e ha promesso di presiedere in maniera «apartitica e senza agitazione». Ma la giornalista della Renania-Palatinato promette una mano ferma nella gestione d’aula. Di fronte all’ennesima accusa di AfD di «imbrogli del cartello» (l’estrema destra definisce “cartello” la conventio ad excludendum dei partiti democratici nei propri confronti), Klöckner ha replicato con durezza: «Qui non c’è nessun imbroglio».
E così AfD ha dovuto ingoiare l’ennesimo fallimento. Nonostante tre votazioni (e potenzialmente una quarta, se AfD decidesse di proporre un nuovo candidato), il candidato di Weidel, l’ex aviatore Gerold Otten che aveva già corso in altre occasioni per la vicepresidenza del Bundestag non ha ricevuto i 316 voti necessari per raggiungere la maggioranza semplice. Anzi, si è fermato molto lontano da lì, ad appena 184 consensi.
Insomma, al Bundestag tira aria di salvezza, con i partiti tradizionali che ancora una volta l’hanno sfangata e un’opposizione (formata da Linke e Verdi) pronta sì a dar battaglia al nuovo governo, ma in maniera ordinata. Senza il timore, insomma, di salti nel vuoto come quello tentato da Merz prima delle elezioni, quando pur di affermare la sua linea dura sull’immigrazione aveva accettato anche i voti di AfD.
Intanto, le trattative per la formazione del nuovo governo circolano ancora intorno all’impostazione del fisco e alla linea da tenere sull’immigrazione. Per la seconda parte della settimana è previsto un confronto tra i capipartito, dopo che le delegazioni di Cdu e Spd hanno concluso i loro lavori: e poi, ci sono i nomi da scegliere per completare l’esecutivo.
Una grossa incognita pende sul ministero degli Esteri: dalle ricostruzioni giornalistiche filtra una grossa preoccupazione di Merz per quel posto, che vorrebbe vedere occupato da qualcuno con cui si ritrovi sulla stessa lunghezza d’onda. Quindi, verosimilmente, un cristianodemocratico: tra i più quotati c’è Armin Laschet, già candidato cancelliere della Cdu nel 2021, che la scorsa settimana ha visitato la Siria assieme alla ministra uscente Annalena Baerbock.
In corsa anche il collega di partito Norbert Roettgen, mentre sembra dover arginare le sue ambizioni Lars Klingbeil, capo della Spd. A questo punto, infatti, appare probabile che a conservare il suo posto sia Boris Pistorius, ministro socialdemocratico uscente della Difesa. Un dicastero incompatibile con quello degli Esteri, che per altro la Cdu non occupa dal 1966.
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