Sì, è un nuovo “anno zero” per la Germania. Oggi le due fotografie che immortalano la spaccatura del paese sono le bandiere tedesche che sventolano in casa AfD con la leader Alice Weidel con gli occhi lucidi dalla felicità che parla di «risultato storico» dal party elettorale piazzato alla periferia di Berlino circondato dai contro-manifestanti, ma anche il volto stirato di Friedrich Merz, che reclama per sé la «responsabilità di governo», andando ad occupare la poltrona che fu di Angela Merkel e di Olaf Scholz.

Un gigante inquieto al centro dell’Europa, la Germania, consegnato dalle urne ad una cabala di incertezze, con l’ombra nera dell’ultradestra che avanza minacciosa e con quelli che una volta erano i grandi partiti popolari che lottano con le unghie e i denti per preservare una stabilità – vero totem della cultura politica tedesca, di importanza quasi esistenziale - che oggi appare sempre più una chimera.

Il totem della stabilità

Stando agli exit poll e alle prime proiezioni Merz sarà cancelliere, i socialdemocratici crollano, il futuro di Olaf Scholz è in bilico, l’ultradestra dell’AfD diventa la seconda forza politica ma la barriera che tiene il partito di Weidel fuori dal governo rimane intatta. Per ora. Il fatto è che il leader cristiano-democratico avrà il difficilissimo compito di mettere insieme una coalizione che si preannuncia litigiosa, divisa sui grandi temi, dal peso elettorale molto sbilanciato.

Chiuse le urne, quel che ne esce è una frammentazione del paesaggio politico inedita per la Germania: i pronostici Infratest/dimap dell’emittente pubblica Ard ci mostrano la Cdu/Csu di Friedrich Merz al 28,8 per cento dei consensi, poco meno del doppio della Spd del cancelliere uscente Scholz, la cui speranza di una spettacolare rimonta è mortificata da un 16,2 per cento che rappresenta il peggior risultato della lunga e orgogliosa storia del partito di Brandt e di Schmidt.

E, sì, l’ultradestra dell’AfD mette a segno il boom ampiamente previsto dai sondaggi, con un 20,2 per cento dei consensi – nel 2021 era poco più del 10 per cento - che ne fa ufficialmente la seconda forza politica della Germania, galvanizzata dall’endorsement di Elon Musk: ancora ieri il capo di Space X ha ripostato un messaggio che diceva «Germania: vai ai seggi e vota AfD. Ne dipende la tua vita». Non a caso l’ingresso a gamba tesa di Musk nella campagna elettorale tedesca aveva fatto temere un’affermazione addirittura maggiore di Weidel & co, tale da dare all’ultradestra gli strumenti per sistematicamente minare le scelte del prossimo governo e del Bundestag. Soprattutto sui temi della politica europea e della migrazione, vero spettro nero di questo voto 2025: non c’è sondaggio che non ti dica che un giro di vite anche drastico sui migranti e la politica d’asilo oggi è ben gradito dalla maggioranza dei tedeschi. Ed è proprio su questo che Weidel, a urne ancora calde, «tende la mano» alla Cdu per una possibile alleanza.

Solo quarti i Verdi di Robert Habeck con il 12,7 per cento, mentre la “terza gamba” di quello che fu il governo ‘semaforo’ collassato rovinosamente a novembre, i liberali, vengono puniti con durezza: fermandosi per un soffio sotto la soglia di sbarramento del 5 per cento, la Fdp dell’ex ministro alle Finanze Christian Lindner rischia di essere ignominiosamente cacciata dal Bundestag. Male anche i “rossobruni” di Sahra Wagenknecht, ossia il BSW, che non va oltre il 4,8 per cento dei voti, alla faccia dei trionfi registrati nei Länder dell’est solo pochi mesi fa.

Sorprendente – e inattesa fino a poche settimane fa - la clamorosa rimonta della Linke, il partito della sinistra, che con l’8,5 per cento dei consensi non solo fa il suo ingresso al Bundestag, ma ha pure gli strumenti per cambiarne non poco i connotati. La svolta, si commenta a Berlino, è arrivata con il tentativo di Merz di far passare il suo pacchetto anti-migranti con i voti dell’AfD: la reazione ha favorito la sinistra radicale, non la Spd. Complessivamente sono percentuali che pesano, anche a fronte di un’affluenza in crescita che - se confermata – potrebbe toccare l’84 per cento.

«So bene qual è l’immensità del nostro compito, ma voglio anche esprimere rispetto politico per i nostri avversari», ossia Spd e Verdi, quasi grida tra gli applausi Merz dalla Konrad-Adenauer-Haus. Il messaggio è chiaro: «Inizieremo subito i colloqui, in modo da metter in piedi al più presto un governo stabile, che sia con rapidità messo in grado di funzionare pienamente. Il mondo là fuori non aspetta noi».

Merz dice così perché sa bene che la via per il nuovo governo è tortuosa ed accidentata, il suo obiettivo di metterlo in piedi prima di Pasqua quanto mai ambizioso. Se il risultato finale sarà quello di queste ore - e data la promessa di non allearsi «mai e poi mai» con l’AfD - la prospettiva più papabile è una Grosse Koalition, con l’Spd a fare da “junior partner”. Ma basta che oltre alla Linke anche i liberali o il BSW riescano con uno zero virgola in più a rimanere in parlamento che il conteggio per arrivare ad una maggioranza si fa ben più risicato: e allora l’unica opzione per il capo della Cdu rimane quella di aprire la coalizione anche ai Verdi, che però sono pesantemente invisi a grandi strati del suo partito e, a maggior ragione, dei “fratelli” cristiano-sociali bavaresi.

Pur avendo fortissime probabilità di entrare a far parte del governo, in casa Spd, alla Willy-Brandt-Haus - il quartiere generale dei socialdemocratici - blindata e transennata sin dal primo mattino, i volti sono lunghi e le occhiaie pesanti: «È una sconfitta storica», ammette subito il coordinatore del partito, Matthias Mersch, lo stesso Scholz si «congratula» mesto con Merz. Il 16 per cento è una mazzata sulla storia dei socialdemocratici: e il futuro politico del cancelliere uscente un gigantesco punto interrogativo. A detta delle gole profonde, il posto di vicecancelliere potrebbe essere offerto a Lars Klingbeil, il presidente dell’Spd. Ma certo non si può dire che le ultime dichiarazioni tra i probabili futuri alleati nella sera della vigilia sia un idillio. Tra la Cdu e la Spd sono volate parole grosse dopo che Merz, al suo comizio finale, aveva parlato di «mezzi matti verdi e di sinistra». Proprio a Klingbeil è toccato il compito di rimandare al mittente l’esternazione merziana: «Il leader della Cdu rende la spaccatura nel centro democratico del paese ancora più profonda». Incalza il già citato Matthias Mersch: «Invece di unire, Merz torna a dividere. Non parla così uno che vuole essere il cancelliere di tutti. Così parla un mini-Trump». Oggi, poi, i segnali di fumo di Spd e Verdi inviati alla Cdu sono gli stessi: non cedere di fronte all’avanzata dell’AfD.

Pensare europeo

Merz, dal canto suo, fa sapere che da cancelliere la sua priorità sarà quella di «pensare europeo». I primi viaggi saranno a Parigi e Varsavia, per incontrare Macron e Tusk. «Se possibile, nello stesso giorno», ha fatto sapere. Ma anche gli alleati europei si saranno guardati bene le percentuali uscite dalle urne, questo è sicuro. «Pochi tedeschi si entusiasmeranno per il nuovo governo», dice Bernd, un vecchio militante Cdu. Lo sa bene anche il futuro cancelliere.

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