Un “manifesto” proposto dalla minoranza scuote il partito a due settimane dal congresso. Il cancelliere per la sua catena di comando sceglie l’attuale ambasciatore tedesco a Kiev
Due linee, per un periodo sovrapponibili, ma forse diverse proprio nell’approccio di fondo. Nella Spd torna in auge il movimento della sinistra del partito, che da sempre guarda con un certo malessere al posizionamento filoucraino del governo Scholz prima e di quello Merz attualmente. A far suonare i campanelli d’allarme al Bundestag la notizia di un “manifesto” proposto via mail dal deputato Ralf Stegner a tutti i membri del gruppo parlamentare socialdemocratico. Si tratta di un invito a ricordare l’identità pacifista della Spd e non lasciare il tema «ad AfD o alla gente di Wagenknecht (ex Linke, ha fondato un movimento rossobruno alle ultime elezioni federali, ndr)».
Nel documento vero e proprio, le condizioni sono quelle che da sempre un gruppo minoritario ma strutturato della Spd difende, dal cambio di approccio nei confronti della Russia alla questione del riarmo. Stegner scrive che «non ci sono motivazioni legate alla sicurezza» per aumentare le spese per la difesa al 3,5 o al 5 per cento del Pil arrivando a spendere una cifra «irrazionale». A due settimane dal congresso in cui i socialdemocratici – che alle elezioni hanno portato a casa il peggior risultato di sempre, un misero 16 per cento – dovrebbero riprendere in mano il proprio destino e capire come uscire dall’angolo, un’escalation gravissima.
Eterni ritorni
Non che l’impostazione di alcune frange del partito (tra i primi cinque firmatari ci sono anche l’ex capogruppo Rolf Mützenich e un ex ministro delle Finanze) sia mai cambiata. La Spd per tutta la prima fase del conflitto ucraino aveva dovuto superare complicati conflitti interni al partito per arrivare ad avallare gli aiuti militari sempre più ingenti autorizzati da Olaf Scholz in direzione Kiev. Riaprire adesso la questione con un’inversione a U sul tema nonostante gli attacchi verbali sempre più duri di Mosca nei confronti di Berlino e degli alleati atlantici alla corrente più riformista del partito sembra un’assurdità.
«Certo, c’è bisogno di un tema identitario da proporre agli iscritti smarriti» racconta chi frequenta il partito, che sta vedendo il reddito di cittadinanza cadere vittima dei tagli voluti dai partner di coalizione cristianodemocratici. Insomma, una volta archiviata la campagna elettorale (e perso il tradizionale controllo del ministero degli Esteri, tornato alla Cdu), la tensione che Scholz era riuscito a mantenere sotto il livello di guardia rischia di esplodere di fronte al dominio della politica estera da parte dei cristianodemocratici.
È la prima vera sfida interna al partito che si trova ad affrontare Lars Klingbeil, che dopo l’uscita di scena dell’ex cancelliere ha fatto del partito il suo feudo personale: leader della corrente riformista, starà al vicecancelliere tenere a bada i movimenti della minoranza e portare a casa il congresso, che andrà in scena dopo il vertice Nato in cui la Germania si impegnerà formalmente ad aumentare le spese in difesa. Ma Stegner e Mützenich sono due senatori del gruppo parlamentare e Klingbeil, segretario relativamente giovane, non si può permettere di inimicarseli. Soprattutto Mützenich non è nella migliore delle disposizioni nei confronti del leader dopo essere stato lasciato in panchina a inizio legislatura: dopo aver visto sfumare la presidenza della commissione Esteri, non ha più motivo di compattare il gruppo parlamentare come faceva per Scholz, a cui toglieva le castagne dal fuoco soprattutto in termini di politica estera.
Oggi, quella presidenza è andata ad Armin Laschet, maggiorente della Cdu e terzo elemento della catena di comando sulla Aussenpolitik che parte dalla cancelleria, passa per il ministero degli Esteri di Johan Wadephul e arriva al Bundestag.
L’altro versante
Ma il cancelliere Friedrich Merz ha già deciso qual è il prossimo elemento da inserire nella sua orbita più stretta per completare la presa di controllo della politica estera: i servizi segreti. Secondo notizie di stampa, il prossimo numero uno del Bnd sarà infatti l’attuale ambasciatore in Ucraina Martin Jäger: una scelta che colpisce per diversi aspetti, ma sicuramente non lascia dubbi sui dossier che avranno priorità per Merz nei prossimi tempi.
Tanto più che l’aveva scelto per Kiev l’ex ministra degli Esteri Annalena Baerbock, esponente di punta di un partito – i Verdi – che da sempre ha un canale preferenziale con Washington (e meno con Trump). Chi ha familiarità con il dossier è perplesso per la scelta di un diplomatico, ma la scelta è considerata in continuità con la linea atlantista che il Bnd aveva anche sotto il governo Semaforo. Il capo uscente, Bruno Kahl, è destinato all’ambasciata tedesca presso la Santa Sede: sotto il suo mandato, i servizi avevano dovuto fare i conti con diversi scandali, tra cui un doppiogiochista che aveva passato informazioni a Mosca.
Per il futuro il quadro sembra invece promettente: al Bnd è destinata infatti una parte dei fondi speciali a debito sbloccati da Merz a inizio mandato, una delle condizioni poste dai Verdi per sostenere il voto parlamentare. Il nuovo capo ha all’attivo incarichi in Afghanistan e Iraq, ma ha lavorato anche al ministero delle Finanze e nelle amministrazioni regionali, oltre a essere stato lobbista per Daimler. Ora farà coppia fissa con Philipp Wolff, sottosegretario della cancelleria con la delega ai servizi che l’anno scorso si è occupato sottotraccia dello scambio di prigionieri con la Russia che includeva il giornalista americano Evan Gershkovich: un’altra nomina di Merz che dimostra quanto il cancelliere tenga alla sua posizione sul conflitto ucraino, fuori e dentro i confini nazionali.
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