Le prossime elezioni politiche in Germania hanno una rilevanza non solo nazionale, ma assumono un ruolo importante per il futuro dell’Unione europea e anche dell’assetto geopolitico internazionale.

Fino a che punto le scelte della nuova leadership tedesca saranno in continuità/discontinuità con quelle della cancelliera Angela Merkel nei rapporti con la Russia di Vladimir Putin? E cosa si aspetta il Cremlino dall’appuntamento elettorale del prossimo 26 settembre?

Per rispondere a queste domande, può essere opportuno ricorrere all’analisi storico-politica delle recenti relazioni bilaterali russo-tedesche, tenendo conto di almeno tre fattori: gli stili di leadership, le dinamiche internazionali e la congiuntura economica.

A partire dagli anni Novanta le relazioni politiche tra la Germania e la Russia si sono basate su un pragmatismo che ha portato il centro studi di geopolitica della Duma (il parlamento russo) a utilizzare il neologismo “GeRussia” per indicare l’intensa collaborazione, una “partnership particolare”, sviluppata lungo l’asse Mosca-Berlino soprattutto in termini economici.

Fu il cancelliere Helmut Kohl a creare, ad esempio, legami commerciali per evitare il collasso dell’economia nello spazio post sovietico e, ancor prima, insieme al presidente dell’Urss, Michail Gorbaciov, a sostenere il processo di riunificazione della Germania. Con l’arrivo di Gerard Schröder a capo del governo sono proseguite le sovvenzioni economiche alla Russia, anche con un “aiuto” di un miliardo di euro per il progetto del gasdotto Nord Stream 2.

Inoltre, il cancelliere socialdemocratico Schröder ha instaurato un’amicizia personale con Vladimir Putin. È stato l’unico leader occidentale invitato al compleanno del presidente russo che lo ha nominato nel 2017 “direttore indipendente” della compagnia petrolifera Rosneft e presidente della Commissione degli azionisti del gasdotto russo-tedesco.

Differenza di vedute

Negli anni tutti i leader tedeschi hanno cercato di strutturare un rapporto solido, dialogante e proficuo, pur con alti e bassi determinati dalle differenti posizioni in politica estera sulle “rivoluzioni colorate”, le accuse di attacchi cibernetici, per raggiungere la fase più critica con la “riunificazione” della Crimea nel 2014.

Ma anche in quest’ultimo caso, mentre si parlava di una “nuova guerra fredda” fra l’occidente e la Russia, le relazioni fra la Germania di Merkel e la Russia di Putin si sono distinte per la continuità del dialogo. Il loro rapporto è sicuramente complesso, ricco di sfaccettature, ma fondato sul rispetto reciproco e nel contesto istituzionale europeo la cancelliera ha spesso assunto una posizione unica fra tutti i leader del mondo occidentale nei confronti del presidente Putin.

Nel 2008 al vertice Atlantico di Bucarest George W. Bush lanciò il Membership Action Plan (Map) per coinvolgere la Georgia e l’Ucraina nell’Alleanza atlantica, ma si scontrò con la ferma posizione contraria di Merkel, che temeva di aprire un conflitto irrimediabile con Mosca e destabilizzare i confini orientali dell’Europa.

Se prendiamo in considerazione la questione della repressione dei diritti umani in Russia (come accaduto nel caso di Aleksej Navalny) e la politica di sicurezza dell’Europa orientale (per esempio la situazione nel Donbas) la cancelliera Merkel non ha risparmiato dure critiche al presidente russo, ma ha sempre promosso il dialogo con Mosca, consentendo, in alcuni casi, di allentare le tensioni diplomatiche con gli Stati Uniti, l’Ue e la Nato.

Come chiaro esempio di Realpolitik la Germania della cancelliera Merkel ha cercato di risolvere i conflitti multilaterali attraverso i dialoghi bilaterali con la Russia, ponendosi come intermediario tra le due parti in conflitto. Si tratta di una strategia che vede la Germania operare su due livelli: stato nazionale e membro dell’Ue. Perseguendo il proprio interesse nazionale ed economico, la Germania ha mantenuto una “cooperazione cruciale” con la Russia che ha comportato numerose critiche dei leader europei tra cui il governo lituano e quello polacco che hanno paragonato il gasdotto Nord Stream 2 alla riedizione del patto Molotov-Ribbentrop e l’accusa del presidente Donald Trump di essere «una prigioniera della Russia».

Una tradizione che viene da lontano

Nel 1969 all’insegna della Ostpolitik Willy Brandt aveva affermato: «Il nostro interesse nazionale non ci consente di stare in mezzo fra est e ovest. Il nostro paese ha bisogno della collaborazione con l’occidente e dell’intesa con l’oriente». Realismo, pragmatismo, prossimità geografica e il benessere economico sono stati i principi sui cui le leadership tedesche hanno mantenuto questa “relazione privilegiata” con la Russia. E l’esito delle prossime elezioni del Bundestag apre un’incognita sull’atteggiamento e il tipo di interazione che si instaureranno dopo Merkel.

Nei dibattiti televisivi sinora condotti i principali candidati alla cancelleria non hanno affrontato tematiche di politica estera e internazionale, ma nel corso della campagna elettorale hanno rilasciato alcune dichiarazioni che ci consentono di individuare un plausibile orientamento verso la Russia.

Il socialdemocratico Olaf Scholz e il cristianodemocratico Armin Laschet, che appartengono alla grande coalizione uscente, non sembrano discostarsi dall’approccio merkeliano della separazione tra la critica diplomatica e la cooperazione economica. Scholz ha espresso un forte disappunto sulla violazione dei confini dell’Ucraina, giudicandola un tentativo di destabilizzare l’Ue, ma anche proposto di lanciare una “Ostpolitik europea” nei confronti della Russia per mantenere «un canale di dialogo e migliorare le relazioni tra Ue e Russia».

Anche Laschet ha criticato la politica estera revisionista della Russia, ma ritiene che interrompere le relazioni diplomatiche sarebbe un errore politico. Un altro discorso è quello che fa, invece, la leader del partito dei Verdi Annalena Baerbock, che ha un atteggiamento molto duro con la Russia per questioni legate alla tutela dei diritti umani e delle minoranze ed è contraria al gasdotto russo-tedesco.

Se i candidati Scholz e Laschet, in virtù anche della tradizione partitica e programmatica di cui fanno parte, presentano elementi di maggiore continuità con la politica della Merkel, la vera discontinuità nei rapporti GeRussia sarebbe rappresentata dalla leader ambientalista. Non è un caso che il Verfassungsschutz, i servizi segreti interni, abbiano segnalato numerosi tentativi di diffamare Baerbock con fake news, la pubblicazione di informazioni riservate (leaks), fotomontaggi e una “campagna negativa” nei mass media pubblici russi perché si ritiene che il Cremlino non gradirebbe la sua vittoria elettorale.

L’incognita di Bruxelles

Tuttavia, la vera incognita riguarda la volontà o meno di raccogliere l’eredità politica di Merkel in ambito europeo, dove ci sono diversi attori in gioco e situazioni congiunturali che possono influenzare in una direzione o nell’altra le scelte della prossima cancelleria tedesca.

Lo scorso giugno un comunicato congiunto della Commissione europea e dell’Alto rappresentante dell’Unione ha ribadito la volontà di non abbassare la guardia nei confronti della Russia, affermando che le relazioni potrebbero cambiare a causa dell’uscita dall’agone politico di Merkel e del risultato ancora incerto delle elezioni presidenziali francesi del 2022. L’asse franco-tedesco è stata, infatti, sinora determinante per evitare un peggioramento dei rapporti tra l’Ue e la Russia.

I recenti viaggi di Merkel in Russia e Ucraina, prima di congedarsi dalla scena politica mondiale, hanno indicato ai candidati tedeschi la via, il modello da perseguire per impedire che il Nord Stream 2 possa diventare in futuro un tallone d’Achille per la Germania e l’Ue. Poco importa, quindi, al Cremlino chi diventerà il prossimo cancelliere, potendo contare su due interlocutori quali Schröder e, forse, anche Merkel ed essendo ormai convinto dell’incomunicabilità con l’occidente.

Come disse Putin in un intervento al Bundestag nel 2001: «Tra la Russia e gli Stati Uniti c’è un oceano, tra la Germania e la Russia c’è una grande storia».

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