Jake Sullivan, l’inviato di Joe Biden che a Roma ha provato a convincere Pechino ad agire contro la Russia per fermare l’aggressione all’Ucraina, si è ritrovato davanti quello stesso Yang Jiechi che lo aveva affrontato a muso duro un anno fa, quando il “Dialogo strategico” tra statunitensi e cinesi in Alaska si era trasformato in un’infuocata disputa sui rispettivi sistemi di governo.

Il consigliere per la Sicurezza nazionale Sullivan è un papabile successore del presidente americano, l’ex ambasciatore a Washington Yang è a capo della Commissione esteri del Partito comunista che guida la diplomazia a stretto contatto con Xi Jinping. I due leader hanno spedito a Roma i loro uomini più esperti e fidati, per capire se e quanto le parti siano disposte a venirsi incontro.

Nel lungo faccia a faccia con Yang in un albergo romano a Sullivan si è ripresentato il medesimo ostacolo evidenziato dall’alterco di Anchorage del 19 marzo 2021, quello che l’ascesa della Cina riproporrà più e più volte in futuro, ovvero che Pechino rivendica pari dignità per le sue politiche - interne e internazionali - aborrite da Usa e Ue in quanto “revisioniste” dell’ordine liberale.

Mentre da Pechino arrivava una piccata smentita alle indiscrezioni d’intelligence secondo cui la Cina sarebbe pronta a fornire assistenza militare a Putin, Sullivan ha spiegato così alla Cnn la posizione di Washington: «Volgiamo comunicare a Pechino che non resteremo a guardare né consentiremo a nessun paese di compensare le perdite subite dalla Russia a causa delle sanzioni economiche», aggiungendo che ci sarebbero «sicuramente conseguenze» per chi aiutasse Mosca.

Intanto, nel Pacifico…

Ciò pone Pechino - che per bocca di Xi ha offerto all’Ue la disponibilità a partecipare a una mediazione multilaterale, e che si è astenuta sulle due risoluzioni Onu di condanna alla Russia - in una posizione scomoda. La Cina infatti non soltanto si è impegnata, subito prima dell’invasione dell’Ucraina (di cui, secondo fonti dei servizi Usa, Putin aveva informato Xi), ad acquistare ingenti quantità di materie prime energetiche russe, ma teme le ripercussioni sull’economia globale delle punizioni contro Mosca.

In definitiva per la Cina la Russia è il principale partner strategico, mentre per gli Stati uniti - anche con la guerra in Ucraina - la Cina rappresenta la maggiore preoccupazione geopolitica. Ne sono una conferma l’invio del cacciatorpediniere “USS Ralph Johnson” nello Stretto di Taiwan due giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina e il colloquio, il 2 marzo scorso, tra Tsai Ing-wen e l’ex capo di stato maggiore Michael Mullen, mandato da Biden a rassicurare la presidente indipendentista sul sostegno al governo dell’Isola da parte di Washington, che il mese scorso ha varato la nuova “Strategia indo-pacifica”.

Tra i policymaker americani sembra aver prevalso l’idea secondo cui Pechino - se opportunamente incalzata - alla fine rinuncerà a sostenere finanziariamente Mosca, per non rischiare di finire isolata dall’Occidente, nell’anno in cui Xi chiederà al congresso del partito un inedito terzo mandato a guidare la Cina, e in una fase di costante rallentamento dell’economia nazionale.

«Tra i due mali scegliamo gli Usa»

Le pressioni di Washington potranno aprire qualche crepa nell’amministrazione Xi? Hu Wei, un analista di un think tank affiliato al governo, in un’analisi circolata all’estero ma censurata in Cina, ha invitato Xi a «tagliare immediatamente i legami con Putin», perché «nelle attuali circostanze internazionali, la Cina può procedere solo salvaguardando i propri interessi, scegliendo il minore dei due mali e scaricando il peso della Russia».

Eppure, per ora, Pechino continua a opporsi alle sanzioni e pensa di potere ancora bilanciare la partnership strategica “senza limiti” sottoscritta con Mosca il 4 febbraio scorso, con la sua difesa dei principi di “sovranità”, “integrità territoriale” e “non ingerenza” di cui Putin sta facendo strame in Ucraina.

Negli ultimi mesi, la Cina ha già subìto sanzioni da parte degli Usa e dell’Unione europea, senza per questo modificare di una virgola la repressione contro le tre “forze del male” (separatismo, estremismo e terrorismo) nel Xinjiang e a Hong Kong. Mentre si è costruita una rete di libero scambio e di affinità politiche variabili, con al centro l’Asia e, in misura crescente, l’America latina e l’Africa.

Siamo sicuri che la minaccia di punire, se si rifiuta di isolare Putin, il primo partner commerciale dei tre quarti del mondo questa volta funzionerà?

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