Il futuro cancelliere ha annunciato nomi non molto noti per i ministeri a guida Cdu. Opzioni sorprendenti per Berlino, attualmente ai margini delle grandi partite globali
Il contratto di coalizione è stato approvato dal congresso ridotto della Cdu, ora la palla passa ai Genossen della Spd, che stanno sottoponendo il testo ai tesserati in una votazione che dura fino a stanotte. Contestualmente al voto, Friedrich Merz ha presentato i nomi dei componenti cristianodemocratici del nascituro esecutivo. Quattro uomini e cinque donne, ma soprattutto, quasi nessun volto notissimo.
Tutt’altro: per il governo nascituro della Germania il futuro cancelliere ha deciso di puntare su persone di fiducia, attingendo anche alla società civile per alcuni incarichi. Come nel caso del ministero dell’Economia (le Finanze, e quindi la gestione dei due fondi speciali che Merz si è regalato a inizio legislatura, sono in mano ai socialdemocratici), dove siederà Katherina Reiche, attualmente ad di Westenenergie, principale partecipata regionale del gigante energetico E.on.
La chimica in realtà non è del tutto digiuna di politica: è stata deputata della Cdu e durante i governi Merkel è stata anche sottosegretaria all’Ambiente e ai Trasporti. L’economia tedesca, soprattutto il settore energetico, ha reagito positivamente, ma i detrattori di Reiche sono già pronti a tirare in ballo conflitti d’interesse e criticano che il passaggio dall’economia privata alla guida del ministero sarà immediato, senza una un periodo di raffreddamento.
A colpire gli osservatori è stata anche la scelta dell’ex direttore della Welt Wolfram Weimer come nuovo sottosegretario alla Cultura. Il giornalista, sempre pronto a dare voce in qualche talk show alle priorità di una cristianodemocrazia occupata a rincorrere AfD, da tempo è diventato intellettuale di riferimento della destra della Cdu toccando tutti i tasti giusti: crisi dei migranti, liberismo economico, sicurezza in politica estera.
Per avere un’idea basta sfogliare il suo Manifesto conservatore pubblicato nel 2018. Non ha esperienza politica, ma porta in dote un’amplissima rete dall’impronta fortemente conservatrice che ruota attorno a Summit Ludwig Erhard che organizza regolarmente a Tegernsee, in Baviera.
Dov’è la prima fila?
Il fedelissimo di Merz Thorsten Frei sarà l’ombra del cancelliere come capo della cancelleria, mentre per gli Esteri - che tornano in mano cristianodemocratica per la prima volta dal 1966 - il gigante del Sauerland ha scelto il giurista Johann Wadephul, finora vicecapogruppo. Non esattamente un nome di prima fila per cavalcare il ritorno sulla tolda di comando della politica estera, soprattutto in un’epoca tempestosa come quella attuale.
C’erano colleghi più quotati nel gruppo parlamentare come Norbert Röttgen o Armin Laschet, ma alla fine Merz non ha voluto tirare a bordo nessuno di loro. Forse anche per non avere a che fare ogni giorno con degli ex candidati alla cancelleria (Röttgen ha partecipato alle primarie, Laschet nel 2021 ha perso contro Scholz) ancora ambiziosi. Resta da vedere se Wadephul, già impegnato nel passaggio di consegne con visite informali presso i principali partner di Berlino, sarà all’altezza del suo compito.
Tra l’incudine e il martello
Merz sa bene che dovrà portare a casa qualche risultato tangibile dopo aver messo a dura prova la tolleranza del suo partito aprendo la legislatura con un’inversione a U sul freno al debito: tra le priorità, ottenere al più presto una decisa stretta sull’accoglienza.
Ma oltre a dare soddisfazione al suo partito, il prossimo cancelliere dovrà guadagnare il prima possibile il peso necessario per riportare la Germania al centro della scena geopolitica. I tempi della foto di un G7 del 2018 in cui Merkel puntando le mani aperte sul tavolo, si sporgeva verso Trump, seduto a braccia incrociate e con l’espressione imbronciata sono ormai lontani. In effetti, nella foto dei quattro leader scattata nella basilica di San Pietro a margine dei funerali di Francesco, non compariva Giorgia Meloni, ma non c’era neanche un rappresentante del governo tedesco.
Non c’era Olaf Scholz, pure il principale sostenitore in termini di aiuti economici di Kiev dopo Washington, non c’era Merz: impossibile ovviamente che sarebbe potuto essere parte dello scatto, ma un posto nella delegazione tedesca per il capo della Cdu era stato previsto. È stato lo stesso cancelliere designato a rifiutare il viaggio a Roma (a differenza del capo della Csu Markus Söder).
La ragione non è ancora stata chiarita, ma quel che è certo è che il leader della Cdu ha lasciato sfumare l’occasione di posizionarsi in mezzo ai leader che saranno suoi interlocutori dal prossimo mese in poi. Vero è che Merz è un habitué di appuntamenti politici bruxellesi e occasioni mondane come il forum economico di Davos, ma l’incontro tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky ha mostrato plasticamente quale fosse il posto dove stare sabato scorso.
La prima sfida internazionale per Merz sarà verosimilmente l’incontro sui dazi con il presidente americano, che ormai quasi certamente si svolgerà a Bruxelles. In quell’occasione, l’atlantista convinto dovrà giocarsi il tutto per tutto: tornare a casa senza un successo con cui rassicurare l’economia tedesca in generale e l’automotive nello specifico, renderebbe il suo debutto al governo decisamente complicato. Un battesimo di fuoco.
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