Un 25 marzo di più di sessanta anni fa (era il 1957) a Roma sei paesi europei hanno firmato una dichiarazione; era l’atto di nascita della comunità europea. In quel dopoguerra il dipartimento di stato Usa lamentò «il vuoto ideologico e morale» in cui la guerra aveva lasciato l’Europa e scrisse che «esiste la possibilità di sviluppare una profonda spinta emotiva attorno all’ideale di un’Europa unita». Oggi una Europa ormai unita e a 27, esasperata dalla crisi Covid-19 e infragilita dai ritardi nelle vaccinazioni, ha aspettato l’intervento del presidente Usa Joe Biden così come si attende un gesto salvifico.

«È una vergogna che Bruxelles si affidi alla prova di muscoli degli Usa per risolvere il braccio di ferro con Londra», dice Mujtaba Rahman, a capo della sezione europea di Eurasia Group. Oggi dal pomeriggio è iniziato il Consiglio europeo in videoconferenza, per affrontare anzitutto la crisi Covid-19 e vaccini, oltre che digitale e rapporti con Turchia e Russia. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha invitato Biden per «ricostruire l’alleanza transatlantica». Nel pieno delle tensioni tra Ue e Regno Unito su vaccini ed esportazioni, Rahman legge il gesto come «un tentativo disperato, segno di debolezza». Qual è l’obiettivo del coinvolgimento di Biden? «Mitigare, con la sua interposizione, il rischio di una guerra commerciale».

Export

Bruxelles sta puntando il dito contro AstraZeneca come «partner inaffidabile» – il giudizio è di von der Leyen – responsabile dei ritardi nelle vaccinazioni. Nel primo trimestre sta arrivando solo un quarto delle dosi pattuite (30 su 120 milioni).

A febbraio l’Ue ha introdotto un meccanismo di controllo delle esportazioni, tanto che l’Italia ha bloccato una partita di fiale destinate all’Australia. Ma l’Europa è rimasta aperta: da dicembre sono uscite 77 milioni di dosi verso 33 paesi. Oltre 20 milioni di dosi utilizzate dal Regno Unito provengono dall’Ue, e sono state prodotte in Europa. Undici milioni di queste fiale sono stati esportati da febbraio: il controllo dell’export non ha significato il blocco delle esportazioni, salvo che in un caso (quello italiano). Ma da parte di Londra «non c’è reciprocità», dice Bruxelles: i vaccini vanno nel Regno Unito, ma da lì non ci arrivano. Perciò la Commissione propone ora due criteri per autorizzare o meno le esportazioni: la reciprocità e la proporzionalità. Esportare solo verso chi riserva a noi le stesse condizioni, e considerare la situazione epidemiologica nel paese di destinazione; se ha più vaccini e vaccinati di noi – ogni riferimento a Londra non è casuale – allora l’ipotesi protezionista va considerata. Il governo italiano è stato tra i primi a sostenere la «linea dura» con le esportazioni.

Il Consiglio discute dell’ipotesi del blocco stando attento alle implicazioni: alcuni, come l’Olanda, preferirebbero un mercato aperto, altri temono ritorsioni; del resto alcuni lipidi che servono a Pfizer arrivano dal Regno Unito.Il Financial Times - britannico - mette in guardia su possibili ricorsi al Wto.

«L’ipotesi protezionista serve più per mostrare alla propria opinione pubblica che si stanno mostrando i muscoli e che si sta facendo qualcosa», dice Rahman. «In realtà tra un paio di mesi l’Ue avrà raggiunto i ritmi di Londra». Alla vigilia dell’intervento di Biden, Ue e Regno Unito hanno firmato una dichiarazione di appeasement.

Lotta per le fiale

L’intervento Usa potrà forse calmare le acque, ma gli aiuti concreti sono da vedere. Nelle 200 pagine di “Strategia nazionale” sulla pandemia, Biden dichiara di voler tornare ad avere «la leadership» e che gli Usa «si impegnano per il multilateralismo». Ma il presidente ha sempre ribadito che prima vanno vaccinati gli americani. Il commissario Thierry Breton ha incontrato Jeff Zients, capo della task force Covid di Biden, per cercare una partnership nella produzione: «I nostri team sono in contatto per assicurare che la catena di approvvigionamento funzioni tra le due sponde dell’Atlantico». Intanto negli Usa il vaccino AstraZeneca non è ancora stato autorizzato ma ci sono decine di milioni di dosi già prodotte, in attesa del via libera.

L’Austria ha alzato i toni, al Consiglio: sostiene di essere stata svantaggiata nella distribuzione dei vaccini. In realtà il 18 per cento di austriaci è vaccinato, la media europea è del 17. Quando Bruxelles ha negoziato i contratti, ogni paese ha deciso se opzionare la sua quota o una più bassa; nel qual caso altri paesi hanno comprato le dosi non prese. Oggi Angela Merkel ha risposto duramente alle rimostranze di Kurz: i contratti «sono stati sottoscritti dai governi». La Polonia per ottenere più vaccini propone un’altra soluzione: non di litigarsi le dosi, ma di imporre a Big Pharma le licenze obbligatorie. «Per produrre di più», dice il premier Mateusz Morawiecki.

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