L’unione fa la forza, e nel caso dei sovranisti, la debolezza fa l’unione. Succede così che i leghisti vanno in spedizione a Budapest per gremire con la destra polacca le piazze a sostegno di Viktor Orbán, assediato da un’opposizione unita che può batterlo ad aprile. La destra italiana e il premier ungherese spalleggiano a loro volta il primo ministro polacco nella crisi Polexit. E Mateusz Morawiecki pur di vantare supporto internazionale perde pure la memoria: ma come, non era il suo partito a dire che «Le Pen è al pari di Putin»? Ora Morawiecki nel pieno di un vertice europeo incontra Marine. Pure la leader del Rassemblement non è da meno. In competizione a destra con Éric Zemmour, in vista delle presidenziali stringe mani a tutti: si fa invitare a Budapest, invita Matteo Salvini a Parigi. Entrambi annunciano che la nuova alleanza della destra europea è imminente. Di imminente ci sono per ora le reciproche debolezze.

La marcia su Budapest

«Avanti ragazzi di Buda, avanti ragazzi di Pest». Trincerati dietro lo striscione ci sono la base leghista e i rappresentanti sindacali di Ugl, la confederazione erede del sindacato del Movimento sociale di Almirante, e che oggi è a dir poco affiatata con la Lega. Claudio Durigon, che ha dovuto rinunciare all’incarico di governo per la serie di scandali, tra cui quello di “parco Mussolini”, era vicesegretario di Ugl, prima di essere catapultato in parlamento tre anni fa da Salvini. L’attuale segretario di Ugl, Paolo Capone, guida quindi la delegazione tra le vie della capitale ungherese il 23 ottobre: è l’anniversario della rivolta di Budapest del 1956. Dal 2012 è pure il giorno in cui Orbán, sotto il nome di «Marcia della pace», chiama gli ungheresi in piazza per mostrare i muscoli, a seconda del momento, a Bruxelles o all’opposizione. Quasi sempre a entrambe, come stavolta. Nel 2013 tuonò dal palco: «Pian piano dobbiamo far partire la nostra campagna elettorale»; ma all’epoca l’opposizione era divisa e fragile. Stavolta è unita e ha un candidato premier, Péter Márki-Zay, difficile da scalfire.

Perciò mentre gli anti-Orbán sabato si facevano la loro manifestazione, il premier mobilitava ogni risorsa: sostenitori dalle campagne e da ogni città, sindaci e leader locali che si giocano le prossime ricandidature in base al numero di autobus pieni fatti arrivare nella capitale. E poi gli alleati da fuori nazione. La base leghista e Ugl, appunto, che cita quella stessa canzone anticomunista – «avanti ragazzi di Buda...» – intonata da decenni negli ambienti di destra, alle feste di Atreju, tra gli ultrà laziali, pure loro frequentatori della «marcia» di Orbán. Pure la destra di governo polacca, e le sue emanazioni, accorrono in Ungheria, compagna di violazioni dello stato di diritto in Europa.

La guerra di Varsavia

I circoli di Gazeta Polska, settimanale filogovernativo radicato sul territorio, erano anche loro a Budapest. Nelle foto di gruppo si intravedono ministri senza portafoglio come Michał Wójcik, ex viceministri come Janusz Kowalski; tutti politici dell’area di governo, e che dal Pis sono passati ancor più a destra, assieme al loro leader Zbigniew Ziobro, l’euroscettico ministro della Giustizia. Il premier ungherese spende più di una parola per Varsavia: anche stavolta la marcia è contro l’opposizione ma il nemico dichiarato è l’Ue. «L’Ue tratta noi e i polacchi come fossimo nemici!», dice lui a favor di folla. La sua fedelissima, la ministra Judit Varga, scalda ancora di più il clima: «Abbiamo fronteggiato i carrarmati sovietici, abbiamo detto no all’impero sovietico, faremo altrettanto con le ambizioni imperiali di Bruxelles».

Il premier polacco, che dal collega ungherese ha imparato le tattiche, il giorno dopo copia il tono guerrafondaio e dichiara al Financial Times che «se la Commissione Ue ci dichiara la terza guerra mondiale, ci difenderemo con ogni mezzo». In realtà Morawiecki, proprio come Orbán, alza i toni per il suo elettorato ma mira al compromesso pragmatico; infatti al Consiglio europeo la linea di Merkel – compromesso – è uscita vincente, e von der Leyen non solo non ha «dichiarato guerra», ma nonostante le pressioni dell’Europarlamento tiene nella fondina le armi a disposizione. Morawiecki conta sul supporto – dimostrato anche nell’ultimo voto del Parlamento Ue su Polexit – dei conservatori europei, la cui presidente è Meloni, e di Identità e democrazia, di cui fanno parte Lega e Rassemblement.

La rincorsa di Le Pen

«Abbiamo in comune con Le Pen più o meno ciò che condividiamo con Putin». Cioè zero: questo intendeva, nel 2017, il leader del partito di governo polacco Pis, Jaroslaw Kaczynski; per lui, che attribuisce a Mosca la morte del gemello Lech, e per la Polonia, reduce dagli incubi dell’invasione sovietica, chi ha rapporti con Putin non può averli con Varsavia. O almeno così era. La debolezza fa l’unione, e allora Morawiecki ad aprile a Budapest concertava alleanze con Salvini, e la scorsa settimana, nel pieno del Consiglio europeo, ha stretto la mano persino a Le Pen. Oggi la candidata all’Eliseo si fa ricevere nella capitale ungherese: sa che il governo Orbán ha rapporti stretti con Éric Zemmour, suo rivale a destra, sostenuto da Marion Maréchal e ben voluto da Fratelli d’Italia. Perciò vuole riprendersi Budapest, o almeno farlo credere.

Ha anche invitato a Parigi Matteo Salvini. Insieme continuano ad annunciare la nascita imminente di una nuova formazione. «Vogliamo unire il meglio di Id, conservatori e popolari», dicono i due. Prima dovranno averla vinta coi rivali di campo: Meloni per la Lega, una nipote ingombrante per Marine.

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