Le manovre dei leader europei per tenere a bada le speculazioni sull’energia sono volatili quanto i prezzi. Dopo il summit di questa settimana esiste, certo, una lista di decisioni da prendere, ma è affine alle misure già annunciate all’inizio della settimana dalla Commissione europea. I leader, che hanno il potere di indicare la direzione politica da intraprendere, avrebbero potuto fare finalmente un balzo in avanti. E invece no.

Roma e Berlino

Per Mario Draghi «le proposte italiane sono state tutte accolte». Del resto non c’è Consiglio europeo all’uscita dal quale non si sia detto «soddisfatto», e quello che si è concluso questo venerdì per Draghi è stato anche l’ultimo: è il vertice nel quale prova a determinare il perimetro della sua eredità politica. Sul «tetto ai prezzi del gas» ha investito, come lui stesso riconosce, «tempo e molte energie», ed è almeno dalla scorsa estate che la misura viene ripetutamente data per fatta su alcuni titoli di giornale, che nel frattempo invecchiano assieme alla proposta.

Visto dalla Germania, che da altrettanti mesi mette di fatto il veto alla misura, il vertice che si è concluso questo venerdì è tutt’altro che definitivo, così come è tutt’altro che definito il tetto. Per gli osservatori tedeschi le «perplessità» di Olaf Scholz restano, e l’eventualità che il banco salti per l’ennesima volta viene ventilata da Berlino, come pure l’idea di dover riparlarne ancora tra capi di stato e di governo il mese prossimo.

Le interpretazioni così discordanti chiariscono, se mai fosse necessario, che l’Ue continua a fare troppo poco, e troppo lentamente. I fatti dicono che Draghi è riuscito – dopo mesi – a incrinare il tabù degli interventi sui prezzi. Nella dichiarazione finale dei capi di stato e di governo, un «tetto ai prezzi» è sulla carta. Ma se diventerà realtà, bisogna vedere in che termini: c’è molto da definire, e come avvertono gli esperti dell’istituto Bruegel, su questo punto «il diavolo è nei dettagli».

Quando il presidente del Consiglio europeo ha dichiarato un «accordo» alla fine della sessione sull’energia, i cronisti con malcelata esasperazione gli hanno chiesto: «Sì, ma quand’è che vedremo gli effetti, di questo accordo? È da tanto che li aspettiamo». «Sono fiducioso», ha risposto Charles Michel, confermando implicitamente che di concreto e di immediato c’è poco.

I punti già decisi

Nella dichiarazione finale, i leader sono costretti a rivelare anzitutto un fallimento: «Gli sforzi per ridurre i prezzi dell’energia per famiglie e imprese vanno accelerati e intensificati». Ma di concreto, per famiglie e imprese, resta poi poco.

I capi di stato e di governo «invitano il Consiglio», ovvero i ministri competenti, riuniti nel Consiglio Ue, e la Commissione, «a presentare urgentemente decisioni concrete» su alcune misure. Guarda caso le più solide politicamente sono quelle già avanzate a inizio settimana da Ursula von der Leyen: la Commissione ha presentato una bozza di «regolamento del Consiglio» che evidentemente già contemperava le posizioni dei vari governi. Finisce quindi nella dichiarazione dei leader l’acquisto comune di gas, e pure la quota del 15 per cento obbligatorio, cifra già prospettata appunto da Bruxelles.

I capi di stato e di governo convergono anche su «un nuovo indice complementare – rispetto al Ttf di Amsterdam – che rifletta meglio l’attuale mercato del gas – il riferimento è al gas naturale liquefatto – entro l’inizio del 2023», cosa che la Commissione ha già in cantiere.

Si entra poi nella questione dei limiti ai prezzi. I leader citano uno strumento temporaneo, un «corridoio dinamico» relativo alle transazioni sul gas naturale, per limitare immediatamente gli episodi di prezzi eccessivi. Cosa intendono? Anche qui, viene incontro il regolamento già abbozzato da Bruxelles. Prevede già, infatti, un meccanismo temporaneo da azionare entro fine gennaio e che nelle intenzioni deve limitare le fiammate speculative giornaliere (la «volatilità») per chi fa compravendita di energia.

Tecnicamente si chiama intra-day volatility management mechanism, nella pratica non è un tetto al prezzo ma prova a contenere gli sbalzi di aumento di prezzo improvvisi.

Il nodo del «tetto»

Sulla questione del «tetto ai prezzi» il documento dei leader va decriptato. Diventa sibillino quando cita «una cornice temporanea per limitare il prezzo del gas per l’elettricità, facendo una analisi costi e benefici, prevenendo l’aumento dei consumi di gas, affrontando la questione degli impatti finanziari e dei flussi fuori confine».

Cosa si intende? Gli osservatori tedeschi, che conoscono dichiarazioni e posizioni di Olaf Scholz, sono convinti che non ci sia alcuna intenzione di imporre limiti massimi al mercato; il cancelliere adotta due forme di cautela, una verso chi esporta gas e l’altra verso i mercati stessi. Chiarito questo, viene in soccorso nell’interpretazione Emmanuel Macron, che si trova nel campo opposto a quello di Scholz, e che presenta il «tetto» come «una estensione dell’eccezione iberica». Spagna e Portogallo fissano un prezzo massimo per il gas utilizzato nella produzione di elettricità, compensano di tasca propria la differenza rispetto al prezzo di mercato ma evitano l’effetto contagio su tutto il mercato elettrico. Il motivo per il quale agli iberici il sistema conviene – e la ragione per la quale Bruxelles lo ha concesso – è che ricorrono solo in minima parte al gas per l’energia elettrica.

Davvero questo sistema sarà esteso a tutti? Macron racconta che «valuteremo rapidamente pro e contro». In realtà è molto probabile che la procrastinazione diventi ancora una volta una forma di ostruzionismo. Anzi, è già così: a inizio settimana, von der Leyen ha detto che «vale la pena studiare l’eccezione iberica per valutare una estensione europea». I cronisti le hanno fatto notare che di tempo per «studiarla» ne è già passato. Inoltre questo sistema rischia di scaricare sulle finanze pubbliche le inefficienze e le speculazioni dei mercati.

In tutto questo dal vertice dei leader, a parte qualche bella parola, non è uscito nessun impegno definito di solidarietà nell’ammortizzare i costi della crisi. Draghi ha raccontato di aver ammorbidito Scholz facendo presente che non si può obbligare a condividere le riserve senza però prevedere solidarietà anche sull’altro fronte. La questione c’è, eccome. Ma resta irrisolta.

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