«In un congresso tradizionale, i delegati parlano e discutono. In uno digitale, ognuno è a casa, ascolta e decide per conto suo. L’esito è davvero imprevedibile»: così Volker Bouffier, presidente dell’Assia, “merkeliano” di ferro e vecchia volpe della politica tedesca. Da undici mesi la Cdu, il partito cristiano democratico tedesco, attende di leggere il suo nuovo Vorsitzender, il presidente, dopo le dimissioni di Annegret Kramp-Karrenbauer, ex “delfina” della cancelliera. La pandemia ha obbligato a più di un rinvio e oggi, in un congresso digitale, dovrebbe essere eletto il nuovo leader. La proclamazione ufficiale, però, arriverà solo la settimana prossima, dopo lo scrutinio delle schede arrivate per posta. In tre chiederanno ai milleuno delegati il sostegno per guidare il partito: Friedrich Merz, Amin Laschet e Norbert Röttgen.

Gli ultimi incontri

L’ultimo confronto tra i candidati di lunedì scorso si è svolto all’insegna del fair play, sfociando persino nella noia. Qualche punzecchiatura sulle questioni internazionali, per il resto tutto secondo programma. I tre sono caratterialmente diversi, ma per ora non hanno manifestato enormi differenze programmatiche, soprattutto in politica estera.

Merz è una vecchia conoscenza della politica tedesca e cerca il riscatto dopo essere stato emarginato dalle innovazioni di Angela Merkel, la “ragazza" venuta dall’Est che ha radicalmente trasformato la Cdu. È il candidato che più di tutti cerca di mobilitare la vecchia anima del partito, persino la destra interna (la Werteunion). Nelle ultime settimane, però, ha dovuto correggere il tiro. In un paese in profonda sofferenza per l’aggravarsi della pandemia, con punte di mille morti al giorno, toni troppo aspri, per quanto puramente strategici, potrebbero rivelarsi controproducenti.

La scelta di Merz rappresenta una rottura con gli ultimi sedici anni di Merkel ma anche un modo efficace per contenere il populismo di destra: una Cdu più radicale potrebbe essere l’argine ai populisti di Alternative für Deutschland, un po’ come succedeva quando la Germania era ancora divisa in due e a Ovest i conservatori riuscivano a coprire tutto lo spazio politico alla loro destra. Non è un caso che già nel 2018 la dirigenza di Afd temeva una vittoria di Merz. Che è caratterialmente la nemesi di Merkel: troppo sicuro di sé, spesso accusato di essere arrogante e di perdere troppo facilmente la calma, potrebbe essere una mina vagante nel delicatissimo equilibrio europeo e internazionale.

D’altro canto, è anche vero che l’arte del compromesso a tutti i costi di Angela Merkel è forse arrivata al suo limite e chiunque prenderà il suo posto dovrà fare i conti con le tante questioni aperte. Il vero problema di Merz è, in fondo, Merz stesso: è un politico della stessa generazione di Merkel, obbligato a vincere ora il congresso solo per puntare poi alla cancelleria. Del partito, la Cdu, gli interessa poco, è chiaro che punta alle elezioni di settembre perché, anche in ragione della sua età, non ha alternative.

Il tempo a disposizione

Le hanno invece Laschet e Röttgen, il primo favorito sul secondo e che ha già raccolto il sostegno indiretto di Kramp-Karrenbauer («è l’unico ad avere esperienza di governo»), di più di un presidente dei Land (su tutti proprio Bouffier, Daniel Günther dello Schleswig-Holstein e il capo della Cdu della Bassa Sassonia Bernd Althusmann) e ha lavorato molto bene con Angela Merkel nel corso della pandemia da presidente del Land Renania settentrionale-Westfalia. Laschet ha esperienza, governa un Land difficile (una delle ex roccaforti della Socialdemocrazia) e, soprattutto, non ha la stessa fretta di Merz.

Laschet potrebbe lasciare la candidatura al bavarese Markus Söder – proprio come fece Angela Merkel da Vorsitzende della CDU nel 2002 quando sostenne la candidatura di Edmund Stoiber contro Gerhard Schröder – oppure a Jens Spahn, ambizioso ministro federale della Salute che punta, nemmeno troppo velatamente, alla successione di Merkel e che ha sostenuto sin dall’inizio la candidatura di Laschet, con il quale ha pubblicato dieci punti per le prossime elezioni federali. Resta comunque un congresso anomalo sia per la formula digitale, che impedisce un confronto vero tra delegati, sia perché il clima è molto diverso dall’ultimo, quello del 2018.

Allora, Angela Merkel, ancora in difficoltà per la scelta di accogliere i profughi del 2015, chiese ai delegati un voto sui diciotto anni della sua guida, ricordando che quando divenne Vorsitzende il partito era molto in difficoltà, travolto dagli scandali su diversi finanziamenti di origine oscura arrivati alla Cdu quando era ancora in mano a Helmut Kohl. 

Oggi i sondaggi sono di nuovo positivi, i Conservatori sono quasi certi di esprimere il prossimo cancelliere, l’incognita è costituita prevalentemente dai possibili alleati (ancora la Spd? I Liberali? I Verdi? I Liberali e i Verdi?). La questione è come continuare la modernizzazione di Merkel: un ”nuovo” partito conservatore, al centro del sistema politico e perno indispensabile della democrazia tedesca.

È su questo che Merz offre meno garanzie di Laschet e Röttgen, che invece porterebbero avanti la linea Merkel, diretta verso il Centro. Tuttavia, la sfida è più aperta che mai: le misure contro la pandemia non sembrano avere successo, a breve dovranno essere assunte ulteriori limitazioni. Il governo è sotto accusa per i pessimi risultati di queste settimane e per la falsa partenza con la campagna vaccinale . Polemiche che da un lato rimettono in discussione l’esito di uno scontro in cui i concorrenti si erano già posizionati, ma dall’altro concentrano la discussione congressuale quasi esclusivamente sulle misure contro la pandemia. E questo potrebbe, ancora una volta, favorire Laschet. Oggi i tre candidati faranno i loro interventi e poi inizierà il voto, con successivo ballottaggio se nessuno dovesse raggiungere la maggioranza assoluta.

Leggi anche – Virus e incertezze: l’anno che ha cambiato i tedeschi

© Riproduzione riservata