Il piano Kallas per dare 40 miliardi di supporto militare a Kiev resta impigliato nella «definizione dei dettagli».Tajani: «Aspettiamo». Questo martedì il voto cruciale del Bundestag sul freno al debito
Il piano di riarmo europeo non è stato costruito in un giorno, anzi è nelle discussioni dei leader da anni. Questa settimana rappresenta però un passaggio saliente, sia in tema di difesa che per gli sviluppi in Ucraina.
Basta scorrere l’agenda per realizzarlo: nella frenesia degli oppositori, che fino all’ultimo hanno bussato alle porte della Corte costituzionale tedesca, il Bundestag uscente ha ricevuto una convocazione per questo martedì. L’obiettivo del futuro cancelliere Friedrich Merz è quello di sfruttare i vecchi equilibri parlamentari per rompere il tabù della Schuldenbremse (il freno al debito) e iniettare una quantità spropositata di miliardi (circa mille nel complesso) in infrastrutture e difesa. Il giorno seguente – mercoledì – la Commissione europea dovrà rendere pubblico il libro bianco sulla difesa, dopodiché giovedì i capi di stato e di governo faranno notte fonda, con l’eventualità di reincontrarsi la mattina seguente: questa volta il Consiglio europeo non è informale; si decide.
E c’è tanto da discutere: oltre a competitività e migranti, che ormai sono spirito del tempo, c’è il tema del quadro finanziario pluriennale dell’Unione, con il nodo delle entrate comuni. E in cima all’agenda del summit, c’è inevitabilmente l’Ucraina.
(Più o meno) volonterosi
Anche per istruire i lavori, questo lunedì durante il Consiglio Ue Affari esteri l’alta rappresentante Kaja Kallas ha discusso con i ministri degli Esteri europei il suo piano. Si tratta di battezzare decine di miliardi di aiuti militari – fino a 40, nella proposta della ex premier estone – e di consegnare a Kiev una dote, una leva in più, con la quale affrontare il delicato passaggio in vista (oggi Trump e Putin si parlano al telefono).
Ma ancor prima che Kallas scuotesse la campanella per dare il via all’incontro, i bollettini brussellesi già riferivano delle perplessità di alcune capitali – come Roma e Parigi – messe di fronte alla proposta di sborsare ulteriormente. Così, dopo essersi confrontata coi ministri, Kallas ha riferito una «volontà politica» ma di «dettagli da definire».
Il governo Meloni, rappresentato in questa sede da Antonio Tajani, sostiene che «non sia il caso di prendere decisioni prima di sapere cosa accadrà» e poi chiede «approfondimenti» facendo la lista di tutte le spese per la difesa sul piatto ultimamente: sul piano Kallas, infine, all’Italia viene chiesto di «spendere 5 miliardi». «Aspettiamo», conclude. Giorgia Meloni ha già esplicitato che «non è prevista la presenza di nostri soldati» in Ucraina.
Una postura esterna opposta a quella dell’Eliseo. Questo lunedì a Parigi è arrivato il nuovo premier canadese, pronto a raggiungere poco dopo anche Londra: per quanto possa essere farraginoso il livello decisionale comune, c’è l’altro livello, quello della «doppia velocità», che dall’esterno appare iperattivo, proprio come il suo sponsor effettivo, Emmanuel Macron.
L’incontro con l’ex banchiere Mark Carney è servito senz’altro anche a collaudare i piani sull’Ucraina. Al momento il Canada ha un interesse cogente («mai quanto oggi») a rinsaldare le alleanze «affidabili» dato che Trump conduce guerre commerciali e fa annunci di annessioni; dunque si spiega anche così la dichiarazione fatta dal successore di Trudeau in sede di Eliseo: «Il Canada è il più europeo dei paesi non europei», dunque gli europei possono contare sulla «affidabile» Ottawa. Ma l’esito concreto di questa postura riguarda anche l’Ucraina: il premier canadese risponde “presente” all’appello per le garanzie di sicurezza. «Il Canada risponderà sempre “presente!” quando si tratta di assicurare la sicurezza dell’Europa».
Macron ha annunciato di voler rivedere il servizio nazionale, pur senza reintrodurre la leva obbligatoria; piani dello stesso tenore erano stati annunciati dal premier polacco. E in questi giorni ha mandato un segnale a Putin: «Se l’Ucraina chiede che le forze alleate siano sul suo territorio, non spetta alla Russia accettare o meno». Il Cremlino ha reagito ieri per voce di Peskov, a detta del quale l'Europa «creerà ulteriori cause di conflitto discutendo del dispiegamento di truppe in Ucraina».
Gli effetti sugli europei
Mentre si susseguono gli sviluppi su Kiev e von der Leyen segue la cornice della «urgenza» per il riarmo, nell’assenza al momento di piani di coordinamento politici (difesa comune) ed economici (debito comune), intanto Berlino pensa al suo comparto industriale da convertire (dall’auto al carrarmato) e si prepara a farlo con uno spazio fiscale che altri paesi europei (a cominciare dal nostro) non hanno. Trattandosi di traiettorie di lungo raggio, c’è da ritagliare spazio per un dibattito serio sulle prospettive. Il Financial Times lo fa a modo suo: ospita editoriali intitolati «l’Europa deve passare dal welfare al warfare» e mette a disposizione calcolatori per vedere «quanto la riduzione della spesa pubblica aumenta le capacità di spesa in difesa».
Prospettive che suscitano la reazione allarmata di economisti attenti al tema delle diseguaglianze come Gabriel Zucman, noto per aver ispirato la “tassa Zucman” sui super ricchi: «Sentite anche voi questo ritornello, che per finanziare il riarmo dobbiamo ridimensionare il nostro modello sociale e fare cure di austerità? Ma questo sarebbe un errore di proporzioni storiche!», mette in guardia Zucman.
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