Nelle discussioni pubbliche di questi tempi di pandemia quando si confronta la sanità italiana con quella tedesca, il dato che emerge è quello dei posti in terapia intensiva. Il tedesco Aerzteblatt.de, giornale online dei medici, dichiara che attualmente in Germania ci sarebbero 33,9 posti ogni centomila abitanti, in Italia 8,6. Di questi giorni sono gli allarmi lanciati da alcuni medici ospedalieri nella Sassonia, il Land attualmente più colpito dal coronavirus.

In quella parte del paese i posti di terapia intensiva sarebbero ormai occupati, mentre certi ospedali avrebbero dovuto sospendere la normale attività sanitaria per favorire la cura dei pazienti colpiti dalla pandemia.

Il 18 dicembre è stato registrato il maggior numero di contagi, 33.777 in un giorno, mentre a inizio anno si sono superati i 35 mila morti. Oltre 5.700 pazienti Covid sono ricoverati nei reparti di terapia intensiva, il doppio del massimo raggiunto in maggio.

Perché il sistema ha retto

Ma se il sistema sanitario tedesco non ha vissuto una tragica primavera e ancora oggi non è in sofferenza questo è probabilmente dovuto al lavoro dei medici sul territorio. In Germania si chiamano Hausarzt, “medico di casa”. Nonostante la struttura federale faccia funzionare molte cose in modo diverso nei Land, la sanità in Germania è rimasta relativamente centralizzata e comunque il sistema sanitario offre la stessa qualità di servizi per tutta la Bundesrepublik, con criticità nelle zone rurali dell’est. Colonna portante di questo sistema sanitario è appunto l’Hausarzt, il corrispondente del medico di famiglia in Italia. Ma appena si abbozza un raffronto nelle sue linee generali ci si rende conto di essere al cospetto di mondi diversi.

Se un paziente tedesco deve far un esame del sangue, il suo medico gli dà un appuntamento nello studio dalle 8 alle 10 del mattino e gli fa prelievo. Poi dalle 10 passa il furgoncino del laboratorio di analisi che ritira le provette, insieme a quelle dei pazienti degli altri studi medici della città o del circondario. I referti degli esami, se urgenti, sono disponibili già nel pomeriggio; gli altri, al più tardi il mattino seguente, il medico di famiglia se li ritrova sul monitor del suo computer. Non solo. Alcuni valori del sangue possono venire ricavati direttamente dopo il prelievo con un’analisi direttamente nello studio. Stessa cosa vale per le urine, che analizzate in studio possono già indicare se sia in corso un’infiammazione alla vescica o renale.

Nello studio del medico di famiglia in Germania vengono usati dispositivi per la diagnostica che sono un corredo standard un po’ ovunque, sia nelle grandi città sia nelle province più rurali. Dall’Hausarzt il paziente può fare l’ecografia all’addome, l’elettrocardiogramma e quello sotto sforzo e tanti altri esami più specifici. In certi studi si fanno addirittura radiografie, o si suturano piccole ferite, o si trattano tumori dell’epidermide. I soli esami diagnostici che non si riescono a fare negli studi dei medici di famiglia tedeschi sono quelli più invasivi come le gastroscopie o le colonscopie, o quelli per i quali sono richiesti macchinari molto costosi come le risonanze magnetiche. Se il medico rileva dagli esami diagnostici sintomi di patologie gravi in corso, telefona in ospedale e comunica di aver bisogno per il suo paziente di un ricovero.

L’epidemia

In questi mesi nove pazienti di Covid-19 su dieci sono stati curati da personale che lavora sul territorio, soprattutto i medici di famiglia, come ha detto Andrea Gassen, presidente della Kassenärztliche Versorgung l’organo di autogoverno che riunisce tutti i medici che operano sul territorio (oltre a quelli di famiglia, specialisti e psicoterapeuti). I tamponi li hanno spesso fatti i medici di famiglia, perché i presìdi specifici aperti dagli uffici sanitari da soli non ce l’avrebbero fatta.

Ursula Osterkamp esercita a Kiel, capitale del Land Schleswig-Holstein, affacciata sul mar Baltico. Ha 50 pazienti anziani che vivono in diverse case di riposo e se c’è qualche sospetto di Covid-19 è lei a fare il tampone a domicilio. In alternativa riceve chi dichiara di avere sintomi come febbre o tosse in studio, concentrando gli appuntamenti dalle 11 alle 12. La dottoressa Oretta Gelli Kratz, di origine italiana, che esercita dalla parte opposta della Germania a Breitenbrunn, un paesino della Baviera, negli ultimi giorni di tamponi ne ha fatti una decina al giorno, tutti a pazienti passati da un’entrata laterale dello studio.

Le due dottoresse hanno una lunga esperienza lavorativa alle spalle, e pur operando l’una in un contesto urbano del nord baltico e l’altra nella Baviera rurale, raccontano la stessa esperienza professionale. La dottoressa Osterkamp dedica un mattino e un pomeriggio della sua settimana lavorativa dal lunedì al venerdì alle visite domiciliari. Alla domanda quanti pazienti abbia, non riesce a rispondere, anzi è una domanda che sembra non comprendere. Dice che ne visita circa mille ogni tre mesi, fra i 30 e i 50 al giorno. Il motivo è che il suo lavoro non viene onorato a forfait un tanto a paziente, viene invece retribuita sulla base di quello che fa.

Il Leistungkatalog è un catalogo che riporta il valore delle prestazioni: dalla ricetta alla visita a domicilio, al prelievo, al singolo esame diagnostico. Se un colloquio supera i dieci minuti viene onorato con un extra mentre se supera i venti viene considerato una “cura psicosomatica a bassa soglia”, con relativa remunerazione. Ogni tre mesi viene compilata negli studi medici la lista delle prestazioni e inviata alla Kassenärztliche Versorgung, che a sua volta si attiva per incassare dalle singole casse mutua o assicurazioni private il dovuto per ogni paziente.

«Noi medici qui in Germania siamo degli impresari di noi stessi», dice la dottoressa Gelli-Kratz, che lavora dal 1982 in Baviera. «Se nel mio studio non viene nessuno, faccio bancarotta». Gli studi medici sono in genere delle S.r.l, le assistenti sono dipendenti, ma lo possono essere anche alcuni medici. In caso di urgenze il medico di base telefona direttamente allo specialista, che deve lasciare ogni giorno un numero di posti (il 10 per cento) alle emergenze segnalate dai colleghi di medicina generale, e poi a loro inviare direttamente la diagnosi del paziente. Dal 2004 inoltre stanno diffondendosi in Germania sempre più studi polispecialistici, sul modello di quelli che aveva la vecchia Repubblica democratica tedesca.

Le emergenze

L’116117 è il numero nazionale da chiamare per le emergenze negli orari nei quali gli studi medici sono chiusi. Il sabato e la domenica, nelle ore diurne, in tutti i comprensori sanitari sono attivi degli ambulatori dove i medici di famiglia tedeschi a rotazione devono rendersi disponibili a meno che non abbiano compiuto 62 anni. Stesso dicasi per i turni notturni di guardia medica. Questo lavoro straordinario viene ben retribuito. Il risultato è che al pronto soccorso ci vanno solo coloro che hanno subito eventi traumatici.

Quando ci si chiede come sia possibile che i tedeschi abbiano avuto un terzo dei nostri morti per Covid-19 e che il tasso di mortalità sia stato così basso, forse si dovrebbe considerare il fatto che in questi mesi, in Germania, le persone con patologie hanno continuato a essere seguite e curate dagli studi di medicina generale, anche se alcuni pazienti sono stati renitenti a frequentare gli studi medici per paura del contagio.

Purtroppo i medici di medicina generale tedeschi a fronte di tante responsabilità e incombenze sono quelli meno remunerati in Germania, meno di quelli ospedalieri e meno degli specialisti che lavorano nei propri studi (carriere separate). Per questo forse la medicina generale è la specializzazione meno scelta dagli studenti di medicina, solo un decimo di loro decide di diventare Hausarzt, mentre per il ricambio generazionale dovrebbero essere almeno il doppio. Per questo alcuni Land come la Baviera, la Bassa Sassonia e la Saarland, hanno previsto degli incentivi: nelle loro università, dove c’è il numero chiuso, viene “aperto” il 5 per cento dei posti a quegli studenti che si impegnano, conclusa la carriera universitaria, a lavorare per dieci anni nei territori che hanno più bisogno di loro.

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