Nonostante l’enorme pressione lobbistica per annacquare, sabotare o rinviare il Green deal, questo mercoledì l’Europarlamento e la Commissione hanno dato prova di una qualche capacità di resistenza. Finalmente Bruxelles ha sfoderato le sue proposte per la riduzione dei pesticidi e per la biodiversità, che erano finite nel congelatore. E gli eurodeputati hanno finito di approvare quello spicchio di Fit for 55 (il pacchetto verde) che era ostaggio dello scontro politico.

Non significa che sul clima si possa star tranquilli. L’emergenza climatica è tangibile, la Pianura padana attraversa una crisi idrica come non se ne vedevano da tempo, ma tutto questo non impedisce all’Ue di concedere deroghe che rimandano gli obiettivi. Anche dalla Germania arrivano spinte in questa direzione. Nel settore agricolo la deregolamentazione procede spedita. Non a caso il commissario Ue al Green deal, Frans Timmermans, alla vigilia della proposta sui pesticidi ha confessato a Investigate Europe di essere bersagliato in modo aggressivo dalla lobby dell’agroindustria Copa-Cogeca: «Il presidente di Copa-Cogeca ha fatto dei suoi attacchi personali nei miei confronti il suo mestiere».

Il compromesso su Fit for 55

«L’industria ci chiede soluzioni realistiche», dice Christian Ehler che rappresenta i popolari in commissione Industria. L’8 giugno alcuni dossier cruciali di Fit for 55 sono stati sottoposti al voto dell’Europarlamento e i popolari europei, per assecondare «l’industria», hanno perso ogni inibizione verso l’estrema destra: pur di annacquare i dossier hanno fatto alleanze tattiche coi conservatori di Meloni e votato assieme ai sovranisti di Id, compresa la Lega; uno schema già inaugurato a gennaio con l’elezione di Roberta Metsola a presidente. Il capitolo sul mercato delle emissioni è finito ostaggio dello scontro politico. Il blocco di destra infatti è riuscito a emendare il testo, la cui versione finale è stata di conseguenza respinta da un fronte progressista. Per la scelta dei popolari di tradire il Green Deal che è in cima all’agenda politica della loro stessa presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, la maggioranza Ursula è andata in frantumi: da una parte i popolari – con l’estrema destra – e dall’altra socialdemocratici, verdi, sinistra, talvolta in sintonia coi liberali.

Il dossier emissioni è tornato in commissione, e poi, ieri, in aula. Stavolta è stato approvato a larga maggioranza: nella notte tra il 14 e il 15 giugno la maggioranza Ursula – popolari, socialdemocratici e liberali – si è ricomposta attorno a un compromesso. I popolari hanno ottenuto un cuscinetto per le imprese – un breathing space, un spazio di respiro come lo ha chiamato Esther de Lange (Ppe) – mentre socialdemocratici e liberali possono rivendicare che gli obiettivi finali, sulla carta, saranno comunque raggiunti.

Come funziona questo compromesso? Uno snodo riguarda il mercato delle emissioni e la pratica dei permessi gratuiti (free allowances) rilasciati dall’Ue ad alcuni settori industriali. Il liberale Pascal Canfin, che presiede la commissione Ambiente, spiega che con l’accordo appena votato il sistema di deroghe si «spegnerà» tra il 2027 e il 2032: il processo inizia un anno dopo rispetto ai piani di Bruxelles (cioè il 2026), ma «l’ammontare di deroghe sarà dimezzato nel 2030 come prevedeva la Commissione, e azzerato nel 2032».

Le tensioni in corso

I compromessi non bastano però a mettere in salvo fit for 55 e il piano verde europeo. Dopo il voto dell’Europarlamento, cominciano i negoziati interistituzionali assieme a Commissione e Consiglio. E laddove l’attività lobbistica delle industrie e l’opera di «influenza» dei governi non sono bastate a fiaccare gli zeli degli eurodeputati – che hanno approvato lo stop totale alla vendita di auto inquinanti a benzina, diesel e gpl dal 2035 – ora tenteranno i governi stessi. Un segnale in tal senso è arrivato da Berlino: il ministro delle Finanze liberale, durante un evento con le imprese, si è espresso contro lo stop.

Al governo in Germania ci sono anche i verdi, che assieme ai socialdemocratici si sono affrettati a far sapere che l’affermazione è una posizione di Christian Lindner: «Vogliamo da lui spiegazioni visto che l’accordo di coalizione è chiaro sul tema». Ma l’episodio mostra bene le tensioni in corso.

Resistere alle deroghe

Sempre dalla Germania è partita la spinta, che la Commissione vuol recepire, per rinviare alcuni obblighi previsti con la riforma della politica agricola comune, già in partenza non particolarmente incisiva dal lato climatico. Berlino vuol rinviare le regole sulla rotazione delle colture previste dal 2023, il che si aggiunge alle deroghe già avallate da Bruxelles: il commissario all’agricoltura Janusz Wojciechowski ha già allentato l’obbligo di tenere a riposo i terreni, quando con l’alibi della guerra si sono intensificate le pressioni.

In questo contesto, il fatto che questo mercoledì finalmente la Commissione abbia presentato le proposte su pesticidi e biodiversità – attese per marzo e congelate finora – è un buon segno ma non basta. Nonostante le pressioni della lobby dei pesticidi, Bruxelles vuol dimezzarne l’uso entro il 2030; e promette passi avanti anche per tutelare la biodiversità. Ma le spinte in direzione contraria continuano.

Il punto è che, come nota il commissario Timmermans, «finché la discussione su questi temi resta nell’ambito ristretto dei gruppi che hanno evidenti interessi in materia, gli esiti sono prevedibili. È dirimente coinvolgere l’intera società in questo dibattito».

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