Una crisi di governo, se non stronca, rende più forti: è il caso di Mark Rutte in Olanda. Questo 15 gennaio il primo ministro, noto in Europa come l’apripista dei “frugali”, ha rassegnato le dimissioni sue e del suo esecutivo al re Guglielmo Alessandro, che le ha accettate; ma le apparenze non devono ingannare. Questa crisi di governo non farà che consolidare lo stradominio di Rutte, primo ministro da oltre un decennio. Infatti sarà sempre lui, nelle prossime settimane, a rimanere alla guida del paese per gli affari correnti (pandemia in primis). E con questa mossa del passo indietro, il “frugale” consolida le probabilità, già alte, di essere confermato premier con le elezioni di marzo, già in calendario prima delle dimissioni.

Le ragioni della crisi

Lo scandalo che innesca le dimissioni riguarda un episodio risalente al 2012, quando premier era sempre Rutte, ma con una coalizione un po’ diversa dall’attuale (nove anni fa c’era il governo Rutte II, quello dimissionario è il terzo). Migliaia di famiglie - si stima, circa 26mila - sono state ingiustamente costrette dal fisco olandese a restituire l’indennità che lo stato era tenuto a dar loro per le spese di mantenimento dei figli. Le autorità hanno accusato quelle famiglie di frode, adducendo motivi come firme mancanti e altre minuzie burocratiche rivelatesi pretestuose. Per la pretesa del fisco di avere indietro i soldi, le famiglie si sono trovate in gravi difficoltà, costrette a indebitarsi o a perdere la casa, come è successo a una madre che ha dovuto ridare allo stato 48mila euro. Sconvolgente è l’origine di questo accanimento burocratico: uno dei criteri coi quali venivano selezionati i genitori sui quali fare gli accertamenti su presunte frodi era il possesso della doppia nazionalità; come ha confermato a luglio il garante per la privacy dell’Aia, c’è stata una discriminazione di tipo etnico nella raccolta dei dati. Il tema ha radici profonde, nel paese: basta studiare la biografia politica di Rutte per trovare che lui stesso, da segretario di stato nel 2003, suggerì alle amministrazioni comunali di fare accertamenti specifici sui residenti somali, ipotizzando possibili frodi legate alla doppia nazionalità; suscitò clamore il caso di un somalo al quale spettava l’assistenza sociale ma che si ritrovò accusato di frode in virtù delle sue origini. 

Il futuro di Rutte

Il caso degli assegni è caduto sul governo da quando, a dicembre, una commissione di inchiesta parlamentare ha messo nero su bianco la raccolta di false frodi. Il primo ad assumersi la responsabilità è stato il leader del partito laburista olandese, Lodewijk Asscher, che negli anni dello scandalo (Rutte II) era ministro agli Affari sociali. Il premier ha scelto di farsi carico anche lui della faccenda, e ci sono fondate ragioni per credere che la mossa tornerà a suo favore. Rimane comunque lui a gestire la transizione fino alle elezioni del 17 marzo, in calendario ben prima della crisi. Il gesto storico - in Olanda non si dimetteva un governo in blocco da vent’anni - finisce per spalmare le responsabilità dello scandalo su tutta la coalizione. I laburisti sono in cerca di un leader dopo le dimissioni di Asscher; a dicembre il ministro della Salute Hugo de Jonge ha detto di non voler più fare il frontrunner dei cristianodemocratici per “stress da gestione di pandemia”. Il partito liberale del primo ministro (il VVD) è in vantaggio nei sondaggi. E il dimissionario premier veleggia verso un probabile Rutte IV.

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