Cinquecentosessantatré pagine possono spaventare. Togliamoci pure la novantina delle note (per altro preziose), la lettura rimane impegnativa, tanto più se l’oggetto è ostico. Si parla d’intelligenza artificiale, meglio, della geopolitica di quel mondo evocato con frequenza e spesso indagato con scarsa cura verso la storia pregressa, protagonisti e prospettive schiuse.

Alessandro Aresu quella forbice tra citazioni à la carte e rendiconto del tema l’ha risolta con un saggio poderoso (Geopolitica dell’intelligenza artificiale, Feltrinelli, 2024). Regola d’ingaggio: farsi catturare dall’intreccio romanzesco di biografie sorprendenti, intuizioni ai limiti dell’irrazionale e parabole imprenditoriali scollegate dal capitalismo novecentesco.

Si entra così nel sentiero trentennale di uno sviluppo scortato da due, anzi, tre profili destinati a mantenersi nel tempo. Primo, «tutti gli attori di questa rivoluzione tecnologica sono immigrati, un impressionante bacino di talenti che da destinazioni diverse converge verso due luoghi soprattutto, gli Stati Uniti e il Canada».

Secondo, impossibile penetrare in quella casta di geni e programmatori senza la chiave d’accesso di videogiochi come proiezione di sofisticatissime realtà parallele. Terzo, inutile affannarsi a cercare l’Europa nella nuova dimensione: infrastrutture di calcolo e mercati di riferimento sono da tempo emigrati altrove, la ricerca oltre oceano, la manifattura ad Oriente.

Archeologia dell’Ia

Ora, è vero che siamo tutti impelagati nella cronaca stretta, il delirio trumpiano col corredo dei Paperoni tecnologici a spuntare le parole democrazia e tolleranza dal vocabolario della destra post-post-moderna. Resta, però, che sull’argomento del titolo la trafila è stata parecchia più lunga e complessa. Per dire, c’erano Eisenhower e Pio XII quando sul New York Times si rinveniva traccia di un «embrione di computer elettronico» destinato a «…riprodursi ed essere cosciente della propria esistenza».

Solo due anni prima, nel 1956, le platee dei cinema americani s’inquietavano sul pianeta Altair dove l’anziano filologo, professor Morbius, partoriva dalla mente un’entità misteriosa in odio alla spedizione terrena capitanata (la legge del contrappasso esiste) dall’ineffabile Leslie Nielsen, alias tenente Dreblin ne La pallottola spuntata. Insomma, macchine pensanti assemblate ipotizzando «cervelli in grado di autoriprodursi» non erano solo esclusiva di circoli hollywoodiani e amanti del genere fantasy. Risale al 1972 l’incarico assegnato dal governo inglese a James Lightill, matematico esperto di fluidodinamica, per un rapporto su costi e strategie dell’Ia. Da lì e per tappe successive si giunge al nodo tuttora non risolto: transitare dall’immaganizzare dati testuali e immagini in una forma avanzatissima d’intelligenza digitale a quell’intelligenza anche fisica in grado di attivare reti neurali e, con esse, esperienze sensoriali capaci in perfetta autonomia d’interagire col mondo.

I protagonisti

Ma dicevamo di biografie singolari, nell’affrescare lo sfondo appaiono decisive. Darne conto è impossibile (563 pagine!), alcune spiccano però e trascinano il racconto quasi fino dove siamo noi adesso. Fei-Fei Li, brillante studentessa cinese consegue fama e successo con un progetto che categorizza le immagini registrate dalla macchina.

Nasce ImageNet: 15 milioni di immagini suddivise in 22mila categorie annotate da quasi 50mila collaboratori di oltre 150 paesi. Immaginatevi di porzionare il mondo reale fornendo alla macchina un volume di conoscenza selettiva e schematizzata, ancora mancante di un’elaborazione sensoriale, ma comunque senza nulla di eguagliabile nel passato.

Morris Chang, invece, è un imprenditore d’assalto, taiwanese naturalizzato statunitense. Ha fondato la più grande industria mondiale di semiconduttori basata sul silicio. Il processo manifatturiero è composto da un migliaio di passaggi controllati con rigore dirigistico da ingegneri asserragliati in veri parchi tecnologici.

L’uomo ha idee chiarissime sulla struttura d’impresa, odia i sindacati che, per inciso, nell’intero settore dell’alta tecnologia non sono contemplati né potevano essergli graditi gli ultimi due inquilini democratici della Casa Bianca. Diciamo che nel nuovo core-business, della vecchia fabbrica operaia sulle due sponde atlantiche non è rimasto nulla mentre dalla Malesia al Vietnam crescono nuove cattedrali di una manifattura che sdogana milioni di ultimi e penultimi nel novero di un’inedita classe media.

Terzo (o primo), tra i campioni citati, Jen-Hsun “Jensen” Huang, anch’egli emigrato giovanissimo da Taiwan negli States, precoce talento del ping-pong, gavetta dal basso, bassissimo, ingegnere elettronico, nel 1993 in un onorevole fast food, da Denny’s, fonda Nvidia. Dettaglio, veste da sempre con un giubbotto di pelle, modello Schwarzenegger in Terminator, ma il motivo allungherebbe il discorso.

Lui va dove si deve andare, nella Silicon Valley (o “valle del silicio”), lì lavora per alcune aziende di semiconduttori, a pieni polmoni aspira l’aria di start-up in rampa di lancio finché si getta nell’impresa che gli cambierà l’esistenza, e come nei film, confessa a una madre diffidente l’intenzione di lasciare il certo per l’incerto: fondare un’azienda di schede grafiche per videogiochi. L’anno è il 1993 e Nvidia si getta nella competizione durissima tra società nate per rivaleggiare senza scampo sulla progettazione di schede grafiche tridimensionali. Il nome dice molto, nasce dall’acronimo NV (Next Version) e sfocia in quella derivazione dal latino “invidia”.

Jensen coi suoi soci accetta la sfida del mercato, di quel mercato, creare mondi da intuire e vedere attraverso grafiche impossibili da pensare. L’uomo sa bene che in quella gara vince chi sopravvive anche alle lusinghe del proprio successo e che non esiste sentiero accomodante, ma solo intuito e desiderio sfrenato di «sentirsi costantemente affamati, folli».

«Siate affamati, siate folli», do you remember quell’altro genio? Bene, fermiamoci un istante perché il racconto di Aresu si frammenta in decine d’affluenti (alcuni particolarmente godibili come la scoperta di un genio italico, padrino del Cynar e di una precoce utopia sull’intelligenza artificiale), il tutto senza smarrire il filo che lo riporta a una dimensione teorica, filosofica, e inesorabilmente politica.

Il divario con l’Europa

Allora, quale la sintesi per forza parziale (quanto a una morale, chissà)? Prendere le misure di questo nuovo mondo e delle sue tre tendenze strutturali. Una manifattura sempre più appaltata all’Oriente asiatico; un’economia e una società digitalizzate; la sfera della politica condizionata dalla sicurezza della nazione. Con una partita per molti versi ancora da completare, dunque nell’incertezza dell’esito, ma nella chiarezza sul campo dove si giocherà e che non contemplerà un’Europa stanca e attardata nei suoi progetti al ralenti.

Un divario di risorse, talenti, idee, già notevole una decina d’anni fa si è fatto ancora più profondo e anche le non moltissime esperienze pilota, dalla Finlandia alla vecchia Francia, per uno sviluppo serio avranno bisogno di finanziarsi oltre oceano, come già il londinese DeepMind.

Se osservato da Roma o Bruxelles, Alessandro Aresu ci restituisce un affresco a tinte fosche, ma non è detto si tratti per forza di un destino scritto. Almeno se in questa nostra parte di mondo, intraprendenza e creatività, strategia e ambizione sapranno ricondurre il ruolo della pura “regolazione” nelle retrovie della storia dove avrebbe il dovere di stare.

Al fondo, costruire una vera unione dei mercati dei capitali proponendosi di attrarre fermandoli in tempo quei talenti in procinto di raggiungere il gate dell’imbarco non dovrebbe essere un’impresa più titanica che sbarcare su Marte.

Ma sul punto si aprirebbe un capitolo a parte muovendo dall’antico monito di Jean Monnet, «L’Europa si farà nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni adottate per quelle crisi». Santo cielo, non è una signora crisi quella che abbiamo sotto gli occhi? L’ultima notazione per invitare anche i pigri a scalare la vetta delle 563 pagine è un puro appello alla curiosità: in quale altro saggio potete imbattervi assieme in Elon Musk, Ernesto Calindri, Giacomo Leopardi e Kim Kardashian? È un’occasione unica, non perdetela.

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