L’inchiesta su Alternative für Deutschland pone in questione la legittimità del bando legale a formazioni politiche di natura apparentemente anti-democratica. Benché la decisione sia molto difficile in pratica, le democrazie devono avere questo diritto di auto-tutela
La difficoltà delle istituzioni democratiche a confrontarsi con chi mette a repentaglio la stessa democrazia ha raggiunto il suo apice con la possibile messa al bando di Alternative für Deutschland (AfD). Diversi commentatori hanno gridato allo scandalo, sostenendo che le élites democratiche stiano minando le basi della propria legittimità nel mettere fuori legge partiti e soggetti che raccolgono un così vasto consenso. Gli stessi sostengono che questi partiti andrebbero sconfitti con gli argomenti e con politiche pubbliche che risolvano l’insoddisfazione che genera il bisogno di soggetti che si presentano come anti-sistema.
Le democrazie liberali si reggono su un delicato equilibrio tra un principio di sovranità democratica (il popolo è sovrano nel darsi legge ed eleggere i rappresentanti) e principi di tutela dei diritti fondamentali. Le due componenti – democratica e liberale – devono andare idealmente di pari passo, ma negli ultimi anni c’è stato un visibile peggioramento in entrambi gli aspetti. Ai fallimenti sostanziali (decisioni politiche impopolari e incomprese) si è accompagnata l’ascesa di soggetti politici che contestano alcune decisioni e, nel farlo, si pongono chiaramente contro alcuni principi fondamentali (uguali diritti di tutti i cittadini, indipendenza della magistratura, limitatezza del potere).
Non è qui il caso di valutare la sostanza dell’inchiesta dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione su AfD. Piuttosto bisogna smontare alcuni tic argomentativi in cui il dibattito pubblico si è incastrato.
Tic argomentativi
Ci sono tre argomenti usati contro la messa a bando di soggetti come AfD. In primo luogo, si dice che sono decisioni intrinsecamente ingiuste perché non si può limitare la libertà politica dei cittadini. Questa critica presuppone che il diritto di espressione politica, che tutela l’autodeterminazione democratica, sia un diritto illimitato, superiore agli altri. In realtà, è facile dimostrare che nessun diritto, nemmeno i più fondamentali, è incondizionato e superiore agli altri. Ogni diritto trova il proprio limite nella garanzia degli altri. Il famoso “paradosso della tolleranza” di Popper, poi ripreso da John Rawls, non è un paradosso in sé: la libertà di qualcuno può essere limitata se si ritiene che metta a repentaglio il sistema delle libertà altrui. Concettualmente non è controverso. Difficile è stabilire se e quando ciò avvenga nei fatti. Ma le democrazie, per tutelare i diritti di tutti, devono presupporre che questo limite ci sia, nella forma di un divieto di ricostituzione di un partito fascista, o nell’avanzata di un partito che nega i diritti fondamentali ad alcuni.
In secondo luogo, coloro che criticano la messa a bando dei partiti anti-democratici sostengono che le idee sbagliate vadano sconfitte sul campo. Questo argomento riprende la famosa concezione attribuita a John Stuart Mill, secondo cui anche la falsità debba essere vinta discorsivamente nel dibattito pubblico, non censurata. Ma, affinché funzioni, l’idea che esista un “mercato delle idee” in cui vince il migliore può funzionare solo se, appunto, c’è un libero mercato in cui ci si può confrontare equamente. Invece, l’avanzata di certi partiti ha mostrato che certi soggetti politici sono proliferati proprio perché il mercato è stato inquinato (ad esempio da interferenze esterne o da interessi politico-commerciali oligarchici). Che senso ha aspettarsi di vincere una competizione equa se qualcuno bara?
In terzo luogo, i fustigatori della messa al bando di partiti anti-democratici sostengono che di fatto queste decisioni si ritorcono contro perché aumentano il consenso di questi partiti che, paradossalmente, possono presentarsi come vittime e come vera espressione dell’autodeterminazione democratica, pur essendone di fatto una contaminazione. Ma anche questo argomento è dubbio, se non fallace. La messa al bando non risolve i problemi in cui i partiti anti-democratici sorgono, ma nemmeno la decisione di non fare niente risolve alcunché. È vero che le questioni vanno risolte a un livello sociale e sostanziale. Ma la legittimazione di soggetti politici anti-democratici non li rende più innocui. Infatti, una volta al potere hanno mostrato piena capacità di piegare le norme in maniera illiberale (l’Ungheria di Orbán e forse anche l’America di Trump).
A coloro che sognano una magica moderazione indotta dall’ingresso nella stanza dei bottoni, e a coloro che sostengono la necessità di combattere i soggetti anti-democratici con le idee, bisogna mostrare che queste aspettative sono illusorie: la natura anti-democratica non è un’opzione tra tante, è la negazione stessa del gioco democratico.
Stabilire se e quando un partito vuole cambiare la natura della contesa – da competizione equa a dominio incontrastato – è delicato e difficile. Ma è un diritto che i sistemi democratici devono avere per sopravvivere.
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