La tregua in Polonia è finita. Mercoledì pomeriggio la Corte costituzionale ha pubblicato le motivazioni del suo verdetto, lo stesso che il 22 ottobre ha sancito che l’aborto è vietato anche in caso di gravi malformazioni del feto, e che ha innescato così la più imponente ondata di proteste mai viste in Polonia dai tempi della caduta del regime comunista.

Il dissenso così trasversale – tra le donne ma non solo, e fra persone di ogni età, con una partecipazione massiccia delle nuove generazioni – aveva costretto il governo, guidato dal partito ultracattolico e conservatore Pis, a una mossa attendista: la sentenza non era stata recepita nella Gazzetta ufficiale. Esisteva, quindi, ma non dispiegava i suoi effetti: era rimasta, fino a questo mercoledì, un verdetto fantasma. La costituzione polacca prevede che le sentenze siano pubblicate «senza indugio», e allora il governo si era aggrappato alla forma: il pronunciamento è nero su bianco, «ma le motivazioni non sono arrivate ancora», sosteneva. Nel frattempo, il dilagare del Covid-19, il rigido inverno polacco e la stanchezza avevano trasformato l’ondata in singhiozzi: qualche flash mob sporadico e poco più.

La nuova onda

Poi, nel pomeriggio del 27 gennaio, le motivazioni sono state rese pubbliche. Puntuale come un orologio, il movimento Strajk Kobiet (“sciopero delle donne”) ha riattivato tutte le cellule dormienti della protesta. «Adesso scateniamo l’inferno!», è uno dei primi tweet, seguiti da un tam tam di messaggi, una organizzazione fulminea ma dilagante che già mercoledì stesso, tra le 18 e le 20, ha radunato frotte di persone nelle strade delle grandi città, di Poznan, Cracovia, Lodz, Katowice, e ovviamente nella capitale Varsavia. Mentre l’ondata di questo autunno si ravvivava, poco prima di mezzanotte è arrivata un’altra notizia: il governo ha pubblicato il verdetto della Corte nella Gazzetta ufficiale. Quel divieto perciò da ieri non è più fantasma.

Nella mattinata di giovedì, le donne che si erano recate in ospedale per abortire, per gravi malformazioni del feto, sono state rispedite a casa: non si può più, la legge dice che è un reato penale, per il medico, praticare l’intervento. «La storia di quelle donne che se ne sono tornate con il loro zainetto da dove erano venute non mi dà pace», dice Lana Dadu, femminista, da Cracovia. «Ma sapevamo che prima o poi sarebbe successo, che la sentenza sarebbe diventata effettiva. Vedo il lato positivo della faccenda: ora possiamo tornare a opporci a tutto questo, e a farlo in massa.

A metà dicembre avevamo ormai perso energie, a furia di protestare tutti i giorni. La tregua natalizia ci ha consentito di riprendere forze. Adesso siamo tornate». Mercoledì, le prime avvisaglie della seconda ondata di proteste nelle grandi città. Giovedì, qualche risacca di manifestazioni anche nelle città più piccole, nei circondari, e poi in serata il ritrovo nella capitale. Questo venerdì a Varsavia è attesa una grande mobilitazione di respiro nazionale, un segnale di forza. Nel weekend, si continua.

Derive future

Ma cosa dicono le motivazioni della sentenza? Il giurista polacco Patryk Wachowiec, analista legale per il Civic Development Forum, dice: «L’aspetto davvero scivoloso, nelle oltre 150 pagine di spiegazioni, è che la Corte afferma che laddove la vita di un nascituro è a rischio, la vita del feto ha un valore paragonabile a quello della vita della madre. Ciò implica che qualora sia la salute della donna, ma non la sua vita, a essere in pericolo, in teoria seguendo questi argomenti la vita del feto potrebbe avere interesse prevalente rispetto al benessere della madre». Scorrendo il testo della Corte si trovano riferimenti al fatto che «un bambino non ancora nato è da considerarsi un essere umano» e che perciò merita protezione, perché «la Polonia assicura tutela legale a ogni essere umano». Finora, nel paese che assieme a Malta è tra i più restrittivi d’Europa in tema di aborto, quest’ultimo era consentito in caso di gravi malformazioni del feto, di stupro, incesto e di vita della madre a rischio.

Il timore delle attiviste, corroborato dall’analisi del giurista Wachowiec, è che la pubblicazione delle motivazioni, oltre ad avere l’effetto immediato di impedire l’aborto in caso di malformazioni, apra la porta anche al divieto in casi di stupro e incesto: in quei casi non è a rischio la vita della madre, ma il suo benessere psicofisico. Weronika Smigielska, attivista per il diritto all’aborto, dice che «da quando sono state pubblicate le motivazioni dei giudici, temiamo che la destra fondamentalista possa farvi leva per tentare di mettere al bando l’aborto praticamente sempre, pure se si viene stuprate».

Stato di diritto

Nel 2016, del resto, la destra ha già provato a spazzar via tutte le eccezioni, e solo le proteste delle donne sono riuscite, quella volta, a bloccare il piano; che comunque da allora è sempre rimasto nei desiderata delle forze di governo, non solo il Pis di Jaroslaw Kaczynski ma ancor più la destra estrema, come quella del ministro della Giustizia Zbigniew Ziobro. La chiesa polacca e le organizzazioni pro life come Ordo Iuris fanno pressioni in questa direzione, e i timori delle attiviste non sono perciò infondati. Ma stavolta il piano va in porto attraverso una sentenza dei giudici costituzionali, che è inappellabile. Perciò l’unico grimaldello che può metterla in discussione è il tema dello stato di diritto: quella Corte non è indipendente dalla politica. Justin Piskorski, giudice relatore del verdetto in questione, fa parte proprio della quota di membri della Corte scelti per vie politiche.

Il giurista Wachowiec, che ha anche contribuito a dar vita al sito Rule of law Poland, dice che «la Commissione europea ha preso atto del problema già anni fa, ma tergiversa, spedisce lettere al governo, dialoga. Invece bisogna agire, sollevando la questione alla Corte di giustizia europea». A fine 2020, il parlamento olandese ha impegnato il suo governo a verificare la possibilità di sfidare la Polonia in sede di Corte Ue, possibilmente assieme ad altri paesi. A febbraio ci saranno sviluppi dall’Olanda, intanto Svezia, Finlandia, Danimarca sarebbero aperte all’idea di collaborare.

«In teoria – dice Wachowiec – pure il governo italiano può sollevare il caso polacco alla Corte Ue». L’europarlamentare polacco Robert Biedron, assieme ad altri colleghi, ha spedito questo giovedì una lettera a Bruxelles: chiede cosa stia aspettando.

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