Per il filosofo ed ex ministro della Cultura tedesco, la “identity politics” si sta rivelando una trappola: a sfruttarla è l’estrema destra. «Ripartiamo dall’universalismo»
«Riprendiamoci l’universalismo! La mia tesi è questa: la sinistra dovrebbe lasciar perdere le fallimentari guerre culturali».
A dirlo è un ex ministro per il quale la cultura è tutto: Julian Nida-Rümelin è filosofo noto a livello internazionale e voce influente della vita intellettuale tedesca. Nella sua Monaco, oltre al ruolo di accademico, si è occupato appunto di cultura, ed era questa la sua delega nel governo Schröder tra 2001 e 2002.
Dal 2010 al 2014 ha anche presieduto la Commissione che si occupa dei valori fondamentali dell’Spd.
Si trova a Roma perché è appena stata pubblicata l’edizione italiana di Umanesimo erotico (FrancoAngeli editore), scritto assieme a Nathalie Weidenfeld; è l’ultimo volume di una trilogia sull’umanesimo.
Già nel 2011 lei scriveva con Habermas appelli per la libertà filosofica, sotto attacco in Ungheria con Orbán. L’attuale ministro è la sua nemesi: Wolfram Weimer, fondatore di Cicero ed editore di The European, è semmai affine alla galassia dell’estrema destra.
Evito di commentare i successori. Certo è che Weimer ha un atteggiamento molto conservatore; ha scritto un manifesto del conservativismo con passaggi molto problematici.
Quella nomina è un segnale degli smottamenti di Merz e della Cdu verso la destra più estrema?
Diciamo piuttosto che gli anni del governo Merkel sono stati un’eccezione, nella storia dei cristianodemocratici tedeschi, che sono sempre stati per la maggior parte abbastanza a destra – non come AfD, certo, ma contro l’immigrazione – e molto vicini agli interessi padronali. Assecondando in parte gli alleati socialdemocratici, l’allora cancelliera ha spostato il suo partito dal suo asse, il che ha aperto uno spazio per AfD.
Interpreta i fenomeni di radicalizzazione in corso anche come reazioni a governi centristi?
Le percentuali di AfD sono lievitate, così come la formazione di Giorgia Meloni è cresciuta tantissimo elettoralmente dopo la scelta di non entrare nel governo Draghi; scelta che la ha evidentemente aiutata in termini di consensi.
Si rischia un circolo vizioso: governi centristi giustificati anche dal cordone anti estrema destra (finché regge), ma estrema destra che cresce in presenza di governi centristi. E la sinistra, in tutto questo?
I socialdemocratici in Germania e il campo a sinistra più in generale dovrebbero evitare di farsi invischiare nelle guerre culturali perché con la destra le perderanno sempre. L’unica guerra che la sinistra può vincere è sul campo sociale, politico ed educativo.
Svariati esponenti di estrema destra citano il concetto di «egemonia culturale» di Gramsci. Al di là dell’abusività dell’operazione, pensa che la sinistra si sia fatta rubare i suoi stessi attrezzi intellettuali?
Sul tema ho riflettuto molto. In Cancel culture: la fine dell’illuminismo? Un appello al pensiero indipendente argomentavo che l’attitudine intrapresa dalla sinistra, ad esempio con la cancel culture, si trasforma facilmente in una campagna per escludere opinioni non gradite.
Qualche anno fa in Germania ho avvertito: tutto ciò viene avviato dalla sinistra con motivazioni anche ragionevoli – ad esempio quelle di rifiutare razzismo e maschilismo – ma verrà poi sfruttato e applicato dalla destra, molto più brutalmente.
È quel che sta accadendo negli Usa: il trumpismo sta demolendo le ricerche sul clima, le politiche per equità e inclusione e così via. In Florida il governatore DeSantis ha vietato alcuni libri.
Il paradosso è che quella destra sostiene di fare tutto ciò in nome della «libertà di parola».
Dice di combattere la cancel culture ma fa proprio quello, e più brutalmente. La destra sostiene politiche identitarie dove l’identità è però maggioritaria, non delle minoranze; tuttavia ideologicamente le due posizioni hanno elementi affini.
Per lei all’origine delle derive destrorse ci sarebbe anche un dirottamento partito da sinistra. Perché? La identity politics si rivela una trappola?
In origine, già nell’Ottocento, quando la sinistra si è stabilita nel campo politico, il liberalismo si accompagnava a idee universali di uguaglianza. L’universalismo fa parte della sinistra.
Eppure gli ultimi sviluppi culturali combattono quest’idea dall’interno. Negli scorsi decenni, anche a sinistra, è passato il messaggio che se non fai parte di una certa comunità, socioeconomica, culturale o di altro tipo, non puoi capire quelle istanze né tantomeno rappresentarle.
L’idea che non si possa trascendere dalla propria posizione ha prodotto una frammentazione, anche culturale.
Potremmo vedere l’intersezionalismo come un cerotto su un universalismo fatto a pezzi?
Ecco, sì. Forse una delle ragioni per le quali la sinistra è così debole in occidente è il fatto di aver spaccato, frammentato l’universalismo.
Il liberalismo ha una ambivalenza di fondo: l’idea che siamo uguali e liberi può sfociare nel libertarismo (diritti minimi e nessuno che ti aiuta) oppure nell’idea che siccome siamo liberi e uguali e qualcuno (lo stato) deve garantire a tutti l'accesso a questi diritti.
Quest’ultima idea è quella che sento mia, ed è quella a cui penso quando dico che la sinistra nasce dal liberalismo: mi riferisco proprio all’universalismo.
Quando si spacca e si frammenta questo concetto, come una parte della sinistra ha fatto negli ultimi decenni, il movimento si indebolisce; ed è forse questa una delle cause per cui la sinistra appare così debole oggi in occidente.
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