Kiev, il muro dei Volenterosi. Mosca: «L’Ue ascolti Trump»

Lunedì 8 dicembre, quando ha trovato il premier britannico Keir Starmer ad attenderlo accanto a un albero di Natale al numero 10 di Downing Street, Volodymyr Zelensky si è lasciato andare e l’ha stretto in un abbraccio. Questo è stato l’avvio del vertice a quattro con i leader Emmanuel Macron e Friedrich Merz, giunti a Londra per l’occasione. È stata trovata una posizione comune per i prossimi passi per le garanzie di sicurezza e ricostruzione dell’Ucraina, ha dichiarato Zelensky. Il percorso verso la pace resta complesso, ma Starmer assicura che «ci sono progressi». Nessun passo indietro: «Siamo qui per sostenere l’Ucraina, sia nella guerra sia nei negoziati» e su Zelensky nessuno eserciterà «pressione» per costringerlo a firmare un accordo che invece ha fretta di chiudere Washington. L’Eliseo fa sapere che la riunione ha permesso di proseguire «il lavoro comune sul piano americano al fine di completarlo con i contributi europei», al fine di garantire a Kiev «solide garanzie di sicurezza e prevedere misure per la ricostruzione del Paese». È un comunicato che riprende la parola che ieri ha usato anche Macron: si punta alla «convergenza», devono trovarla europei, ucraini e americani. Ma, al momento, è evidente che non c’è. L’Ue, il furore del tycoon e la retorica europeista Il vertice La pressione per la cessione dei territori, finora esercitata invano su Kiev dagli Usa, ha fatto di nuovo spostare l’ago della frustrazione di Trump dalla parte di Zelensky. Domenica sera il presidente repubblicano lo ha rimproverato dal tappo rosso del Kennedy Center a Washington: «Devo dire che sono un po’ deluso che Zelensky non abbia ancora letto la proposta. Credo la Russia sia d’accordo, non sono sicuro che Zelensky sia d’accordo, ai suoi piace». Il presidente ucraino ha potuto visionare le bozze dei negoziati, avvenuti negli ultimi giorni tra la delegazione ucraina e americana a Miami, solo ieri a Londra: come ha dichiarato il suo capo delegazione, Rustem Umerov, di bozza, «ce n’è più di una». L’Ue, il furore del tycoon e la retorica europeista La Coalizione dei volenterosi, dietro le quinte, rischia di diventare anche il fronte degli scettici. Le maggiori riserve sui piani Usa sono soprattutto di Macron, che ha ricordato che l’Europa ha ancora «molte carte in mano» da giocare, e di Merz, che ne evidenzia le criticità ricordando che «il destino dell’Ucraina è il destino dell’Europa». L’Ue, a più voci, parla di coordinamento d’intenti, il leader ucraino di consenso. Manca e crea cortocircuiti che impediscono una visione unitaria: ricorda che è fondamentale «l’unità tra Europa, Ucraina e Usa», perché «ci sono cose che non possiamo gestire senza gli americani e cose che non possiamo gestire senza l’Europa». Meloni equilibrista Il nodo gordiano resta l’est, la chiave della risoluzione del conflitto passa per la linea di fuoco della battaglia per il Donbass. Più delle dichiarazioni ufficiali di rito, parlano le indiscrezioni dei funzionari europei che si sono lasciati andare con Politico: «Sulla questione territoriale, gli americani sono semplici: la Russia chiede all’Ucraina di rinunciare ai territori, e gli americani continuano a pensare a come farlo accadere», «insistono sul fatto che l’Ucraina debba lasciare il Donbass, in un modo o nell’altro». La velocità con cui gli statunitensi vogliono chiudere la partita è la nuova nemica di Kiev: l’ordine che Trump ha dato ai suoi è di farlo fast, velocemente, proprio come velocemente i russi stanno avanzando in Donbass. Come siano andati i colloqui tra Stati Uniti e Ucraina, se si sono arenati o se ci siano stati progressi, se lo chiedono in una Mosca offesa dal prolungato silenzio: «Ora per noi è importante capire i risultati di questo lavoro», ha dichiarato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. All’ultimo documento sulla Strategia di sicurezza statunitense, che ha favorito un nuovo riallineamento tra russi e americani, ha fatto eco ieri anche il rappresentante speciale di Putin, Kirill Dmitriev, che ha criticato l’Europa accusandola di aver messo a rischio la propria civiltà. Secondo il capo del Fondo di investimenti russo, l’Unione Europea «è sulla strada sbagliata» e la responsabilità è anche dell’ex presidente Biden. Il monito finale è diretto: ascoltate Trump e salvate l’Europa. La notte di Zelensky ieri è finita a Bruxelles, dove aveva in agenda un incontro con il segretario generale della Nato Mark Rutte, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Sul tavolo resta aperta la questione degli asset russi congelati nelle casse dell’Euroclear che il Belgio si rifiuta di sbloccare, temendo possibili ripercussioni legali di Mosca. Le teste d’ariete che ne chiedono l’utilizzo sono Merz e von der Leyen, che ancora ieri esortava di spedirli a Kiev per «aumentare il costo della guerra per la Russia». Oggi Zelensky è in Italia: a palazzo Chigi lo attende la presidente Meloni, che ieri era collegata all’incontro del summit londinese. Chiede come gli altri convergenza e unità, equilibrista tra le due sponde preponderanti del conflitto, Bruxelles e Washington, dove il presidente ucraino si dice già pronto a volare «se Trump è pronto per un incontro del genere».