Domani in Catalogna si vota per eleggere il parlamento che investirà il nuovo presidente alla guida della Generalitat catalana. Si tratta di elezioni convocate in anticipo sulla fine naturale della legislatura, probabilmente segnate da una forte astensione per la pandemia, utili a misurare la forza dell’indipendentismo e a ridefinirne i rapporti interni. Ma con una ripercussione anche sul quadro politico spagnolo e la stabilità del governo di coalizione guidato dal socialista Pedro Sánchez. Il loro esito condizionerà la soluzione del conflitto catalano e perciò il futuro di libertà dei leader indipendentisti in carcere e in esilio per la dichiarazione unilaterale d’indipendenza dell’autunno 2017.

L’anticipazione

Sull’anticipo dell’appuntamento elettorale hanno pesato i gravi dissidi esistenti tra i partiti indipendentisti al governo, Junts per Catalunya (JxCat), di orientamento liberaldemocratico ed Esquerra Republicana de Catalunya (Erc), di ispirazione socialdemocratica. A deciderlo, però, è stata l’inabilitazione da parte del Tribunal Supremo dell’ex presidente Quim Torra per avere appeso, durante la campagna elettorale per le politiche dell’aprile 2019, uno striscione sulla facciata del Palau della Generalitat per la libertà dei leader indipendentisti in carcere. Da allora il governo catalano è ad interim.

La campagna elettorale è stata segnata da una doppia eccentricità: si è svolta in piena pandemia e la partecipazione in semi-libertà riconosciuta ai leader indipendentisti in carcere. Ma in più, negli ultimi giorni, la coincidenza del caso del rapper catalano Pablo Hasél, condannato a nove mesi di carcere per il contenuto delle sue canzoni, ha spostato l’attenzione politica sulla libertà d’espressione, limitata in Spagna dalle norme contenute nel Codice penale che fanno ricadere molte manifestazioni di dissenso sotto il reato di apologia di terrorismo. Di fronte alle numerose espressioni di solidarietà al rapper, il governo spagnolo si è visto costretto a impegnarsi per la riforma della legislazione di merito.

La questione catalana

Il procés, come si definisce il processo sovranista nato in Catalogna nel 2010 con la bocciatura da parte del Tribunal Constitucional del nuovo Statuto catalano e cresciuto nel decennio successivo con manifestazioni pacifiche e moltitudinarie, subisce una battuta d’arresto alla fine dell’ottobre 2017. Quando il governo spagnolo applica l’articolo 155 della Costituzione che commissaria le istituzioni della Generalitat e i leader dell’indipendentismo entrano in carcere o vanno in esilio per aver celebrato il referendum dell’1 ottobre e dichiarato unilateralmente l’indipendenza della Catalogna.

Due anni dopo, il Tribunal Supremo emette la sentenza di condanna per sedizione contro i nove leader indipendentisti: le pene vanno dai nove anni di carcere per i leader del movimento Jordi Sánchez, ex presidente della Assemblea Nacional Catalana e Jordi Cuixart, presidente di Òmnium Cultural, ai 13 per Oriol Junqueras, leader di Erc ed ex vicepresidente del governo catalano. Nel mezzo, si collocano le pene per la ex presidente del parlamento catalano Carme Forcadell e gli altri cinque ex consiglieri del governo catalano.

Carles Puigdemont, leader di JxCat ed ex presidente del governo catalano e altri sei ex consiglieri e dirigenti dell’indipendentismo scelgono la via dell’esilio. Su di loro pesa una richiesta di estradizione della giustizia spagnola, ma finora le giustizie belga e tedesca non vi hanno proceduto, per non aver riscontrato la violenza necessaria a giustificare la contestazione del delitto di sedizione. Nelle ultime elezioni europee Puigdemont è eletto eurodeputato, attualmente è in corso la procedura per la richiesta di autorizzazione a procedere nei suoi confronti.

Le elezioni catalane del dicembre 2017 confermano la maggioranza assoluta dei seggi per l’indipendentismo (Esquerra, Junts e il partito della sinistra radicale Candidatura d’unitat popular), ma non dei voti. Ciutadans diventa primo partito ma non ha i numeri per governare con il Partido popular (Pp) e i socialisti catalani (Psc). Dopo varie vicissitudini, nasce il governo di coalizione di JxCat ed Erc guidato dall’esponente di Junts, Torra.

Chiunque lavori in Spagna per la soluzione del conflitto catalano sa che questa passa per la liberazione dei leader indipendentisti in carcere. L’indipendentismo rivendica l’amnistia e l’esercizio del diritto di autodeterminazione. Il governo spagnolo sarebbe orientato ad adottare un provvedimento di indulto. Il tavolo di dialogo tra governo spagnolo e governo catalano si è riunito una volta sola, un anno fa.

I sondaggi e gli scenari

I candidati a presidente della Generalitat sono nove. Quelli dei partiti tra cui si disputerà la vittoria sono il socialista Salvador Illa, il repubblicano Pere Aragonès e Laura Borràs per Junts. Illa è stato fino a pochi giorni fa il ministro della Sanità ed è perciò molto conosciuto per aver gestito la lotta alla pandemia, la sua candidatura ha sbancato tutti i pronostici elettorali facendo parlare di un “effetto Illa”; promette di voltare pagina e aprire un tempo nuovo in Catalogna dopo un decennio sprecato.

Il candidato di Esquerra Aragonès è l’attuale presidente ad interim della Generalitat; propone la via ampia per l’indipendenza che vada oltre i partiti indipendentisti e consideri tutti quelli che si battono per l’autodeterminazione e contro la repressione, scommette sul dialogo. La candidata di JxCat, già deputata del parlamento spagnolo, Borràs, si presenta come la prima donna presidente a guidare una coalizione di governo con le altre formazioni indipendentiste.

Diverse sono le incognite sul risultato elettorale. Ci s’interroga in primo luogo su quale sarà il livello di astensione che s’immagina elevato, riportando la partecipazione al voto agli standard precedenti il procés. Per paura del contagio, che ha fatto crescere il voto per posta e messo in crisi la formazione dei seggi, ma forse anche per una certa demotivazione dell’elettorato. La seconda incognita riguarda la testa dei partiti vincitori: al momento i sondaggi pronosticano una situazione di sostanziale parità tra socialisti, repubblicani e Junts. Infine, sarà interessante conoscere l’esito della competizione a destra: con Ciutadans dato in caduta libera a favore dei socialisti e dell’estrema destra Vox, che entrerebbe per la prima volta in parlamento e potrebbe sorpassare il Pp.

Il voto avrà effetti anche sul governo spagnolo, sulla sua stabilità e la tenuta della coalizione. Sánchez ha bisogno che il suo candidato vinca o che risulti almeno imprescindibile per la formazione del governo catalano. Per Pablo Iglesias, vicepresidente del governo spagnolo e leader di Podemos, è importante che i Comuns, versione catalana del partito viola, abbiano la chiave della governabilità per proporre una coalizione di sinistra anche alla Generalitat. Un risultato che metta in difficoltà Esquerra potrebbe compromettere il sostegno dei repubblicani al governo Sánchez; una vittoria di Junts aprirebbe una nuova conflittualità col governo spagnolo.

Nel frattempo, gli indipendentisti sottoscrivono un patto impegnandosi a non concordare la formazione del governo con il socialista Illa. Un esito non soddisfacente per i socialisti potrebbe rallentare il processo di soluzione del conflitto catalano, a cominciare dalle misure di libertà per i leader indipendentisti in carcere. Un rebus dunque, che il voto, senza una successiva politica di patti, difficilmente sarà in grado di sciogliere.

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